In un sondaggio dopo l’altro, pare prendere forma il declino del sultano di Ankara segnato da un crollo dei consensi popolari sia dello stesso Erdogan che del suo partito, il Partito di Giustizia e Sviluppo – AKP (e dei suoi alleati di governo), che stanno di fatto attraversando i loro minimi storici. Infatti, negli ultimi tempi, Erdogan sembra sia stato agilmente sorpassato non da uno ma da tre rivali nella corsa per le elezioni presidenziali fissate per il giugno 2023.
Secondo un sondaggio dell’Istanbul Economics Research (IEA), almeno il 40% dei turchi stima attendibile la profonda corruzione che dilaga alla corte di Erdogan, soprattutto anche dopo le scottanti rivelazioni del “boss criminale”, Sedat Peker, che mettono sotto accusa il partito al governo.
Le continue affermazioni di Peker, tramite videomessaggi sui social (se ne contano almeno una decina attualmente) e che ben presto sono diventati virali in rete, denunciano apertamente numerosi esponenti dell’AKP di essere coinvolti nei traffici internazionali di armi e droga e di aver commesso decine di omicidi politici negli anni ’90 e altri reati, tra cui estorsione e stupri, oltre numerosi attacchi agli organi di informazione turchi.
Il personaggio Peker, ritornato alla ribalta pare dai primi di maggio, è conosciuto dalla giustizia turca sin dal 2007-2014, dopo essere stato imprigionato per reati di falso e rapina e per aver guidato un’organizzazione criminale.
Peker aveva sempre servito l’AKP contro i critici e i detrattori del partito finchè, secondo quanto riferito, ne fu espulso nel 2016 a seguito delle sue posizioni estreme e oltranziste esternate in occasione degli assalti militari alla minoranza curda sul versante sud orientale turco, fatti che centinaia di accademici in Turchia hanno duramente criticato.
Dallo scorso anno l’ultranazionalista islamista Peker è sparito. Secondo alcune fonti si rifugi negli Emirati Arabi Uniti, ma non ha perso l’occasione, spinto da un evidente rancore, per sputare veleno verso il partito che una volta ha servito lealmente. Le sue accuse si muovono sul fatto che il partito AKP (così come i suoi alleati) è profondamente corrotto e non ottempera più agli interessi del popolo turco.
Nelle sue frequenti apparizioni via webcam dal “palcoscenico di casa”, con un fare degno del più navigato degli anchor man dei talk show americani, Peker, che viene anche caricaturizzato dal suo pubblico come il novello Tony Soprano, protagonista della medesima fiction, in particolare rivolge i suoi anatemi verso l’attuale ministro degli Interni, Suleyman Soylu – di cui mostra le foto che lo ritraggono al matrimonio di un noto esponente mafioso – così come nei confronti di uno dei suoi predecessori, Mehmet Agar e di suo figlio Tolga, un membro del parlamento di Elazig. Nei confronti dei due, Peker svela che abbiano persino messo le mani lo scorso anno sul porto turistico di Bodrum, dove hanno intessuto dei commerci illeciti, ma accusa anche Tolga di aver violentato e ucciso una giornalista kazaka di 21 anni, Yeldana Kaharman, mascherandolo come un suicidio.
Altro episodio a tinte fosche e degno di nota fu quello che lambì, nel 1996, il villaggio di Susurluk (nella provincia di Balikesir) – da qui lo scandalo di Susurluk – dove Huseyin Kocadag, vice capo del dipartimento di polizia di Istanbul, assieme ad Abdullah Catli, un noto lupo grigio e sicario della mafia assoldato dal MIT (l’Organizzazione nazionale di intelligence turca), e la sua amante, la modella Gonca Us, furono trovati morti accanto a Sedat Bucak, un deputato del True Path Party (DYP). Il ministro degli Interni all’epoca era proprio Mehmet Agar, che si dimise cinque giorni dopo.
Ma l’accusa più dura arriva con la rivelazione della possibile esistenza di un “deep state” parallelo e indipendente in cui agisce un gruppo denominato “Pelican” – ala segreta del partito AKP – guidato dal genero di Recep Tayyip Erdogan, l’ex-ministro del tesoro e delle finanze Berat Albayrak.
A destare altresì scalpore sono le emergenti illazioni sui presunti legami (in verità non così segreti) tra il Movimento nazionalista di estrema destra MHP, alleato di governo del Partito di Giustizia e Sviluppo (AKP), e le organizzazioni criminali di stampo mafioso ritornate alla ribalta con il riemergere di un’economia sommersa sempre più evidente negli ultimi due anni, a fronte del crollo di quella statale, anche in considerazione della pandemia da Covid-19 in corso. A testimonianza di questo, lo scorso anno l’opinione pubblica – e non solo – è rimasta molto perplessa dalla notizia della scarcerazione di un pluriomicida, Alaattin Çakici, come parte del programma di amnistia, sostenuta dal leader del MHP, Devlet Bahçeli, e motivato dalla pandemia dilagante.
Alaattin Çakici, legato a filo doppio con il MHP, è un potente capostipite di una delle famiglie criminali più conosciute in Turchia ed è stato membro storico dei “Lupi Grigi”, accusati a loro volta di feroci omicidi tra le fila della sinistra in particolare quella filo-curda. Çakici è lui stesso l’autore di 41 omicidi e nel 2000 appare nei rapporti del MIT assoldato come sicario negli anni ottanta e novanta.
I videomessaggi stanno gettando dunque lo scompiglio nel panorama politico turco spostando gli equilibri tra i partiti e mettendo l’uno contro l’altro gli alti esponenti della coalizione AKP – MHP.
Anche se il controverso criminale non ha ancora rivolto delle accuse dirette al premier turco, a quanto sembra Peker ha ancora diverse carte da giocare, forse quelle più eclatanti. Erdogan non si è scomposto per il momento, e stranamente non ha ancora intrapreso nessuna iniziativa contro le rivelazioni, quasi aspettasse di fare un necessario repulisti tra le fila del suo partito investito dagli ultimi scandali. Oppure è preoccupato da un possibile ricatto del sedicente criminale?
Mentre le teorie complottiste del caso Peker impazzano il potere del sultano di Ankara appare scricchiolare anche sotto gli effetti imprevisti del processo Kobanê
Si è appena avviato ad Ankara, il 26 aprile, il cosìddetto “processo Kobanê”, dietro le proteste sia interne che della Comunità Internazionale, che lo hanno fortemente criticato perché spinto da evidenti ragioni politiche.
Il processo del secolo contro 108 persone, molte delle quali parlamentari filo-curdi del Partito Democratico Popolare (HDP), tra cui gli ex-leader Selahattin Demirtas e Figen Yüksekdag, ruota attorno alle manifestazioni popolari avvenute nell’ottobre 2014 contro la mancanza di azione del governo turco in relazione all’assedio della città siriana di Kobanê da parte dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante – ISIL. In queste proteste, almeno 37 persone persero la vita dopo che le manifestazioni sono sfociate in violenza. Sulle teste degli imputati pendono 29 capi di accusa: tentato omicidio, diffusione di propaganda terroristica e istigazione alla violenza contro lo Stato centrale della Turchia. Il Pubblico Ministero ha chiesto l’ergastolo per 38 degli accusati ed un totale di 19.680 anni di reclusione.
Da novembre 2016, Demirtas è tuttora imprigionato nel carcere di massima sicurezza di Edirne, nonostante la presunta mancanza di prove contro di lui. Sotto la sua guida e quella di Yüksekdag, l’HDP, sostenuto dai voti curdi, ha superato per la prima volta la soglia di sbarramento elettorale del 10% riuscendo ad entrare in Parlamento nel 2015 e diventando ben presto il secondo partito di opposizione.
Ma a partire dal suo secondo mandato elettorale, Erdogan ha proseguito nel suo progetto di sempre che é di cancellare dalla scena politica turca l’alleanza sinistra-curda – utilizzando gli strumenti a lui più congeniali (ex-Lupi Grigi ecc.) – dopo aver a lungo considerato il partito HDP come l’ala politica del Partito dei lavoratori curdi – PKK, classificato dal regime come organizzazione terroristica. L’HDP ha negato qualsiasi collegamento con il PKK, ma questo non ha impedito al partito di governo ed ai suoi alleati del MHP, avversari da sempre delle sinistre filo-curde, di accelerare per un bando totale del partito HDP di operare in politica.
Il 17 marzo 2021, il Parlamento turco ha rimosso l’immunità penale del legislatore dell’HDP Ömer Faruk Gergerlioğlu, e ha revocato il suo status di parlamentare in quanto accusato di “propaganda terroristica” per aver “retweettato” nel 2016 messaggi che invitavano lo Stato e il PKK fuorilegge a raggiungere un accordo di pace. Il 21 marzo 2021 Gergerlioğlu viene arrestato dalla polizia mentre si recava alle preghiere del mattino. Contestualmente la Corte Costituzionale ha avviato una causa che mirava allo scioglimento definitivo dell’HDP e al bando di 687 dei suoi principali esponenti politici.
Ma altre preoccupazioni sono destinate a tormentare i sonni tranquilli del sultano
Analisti internazionali ritengono che le forti tensioni sociali in Turchia siano ampiamente collegate alla crisi politica ed economica in evidente aumento. Infatti, nell’ultimo periodo la lira turca è crollata circa dell’1,2% rispetto al dollaro, portando le perdite della valuta a quasi il 15% dal marzo 2021. Il 25 maggio 2021, Erdogan ha licenziato Oguzhan Ozbas, uno dei vice governatori della banca centrale del paese, il terzo alto funzionario licenziato in pochi mesi, nel tentativo di mantenere una politica monetaria rigorosa per combattere l’inflazione, abbassando al contempo i tassi d’interesse e creando così una maggiore inflazione e una svalutazione della moneta nazionale turca.
Ma se da una parte la borghesia turca appoggia in toto la linea di governo ed auspica una politica economica incentrata sull’austerità, dall’altro lato le piccole e medie imprese e il resto della base elettorale di Erdogan soffrono esageratamente queste scelte, chiedendo piuttosto di mantenere i prestiti a basso costo e una lira forte.
Questo tipo di politica economica interna ha creato forti tensioni politiche destabilizzando, senza speranza, i rapporti con le altre anime del Parlamento e con le parti sociali del paese. Secondo il folle disegno di Erdogan, l’unico modo per farvi fronte è attaccare in qualsiasi modo gli avversari politici come l’HDP che si oppongono al suo governo autocratico.
Le tensioni sono dunque destinate a crescere ed il consenso popolare di Erdogan e dei partiti al governo crolleranno inevitabilmente e si assisterà presumibilmente ad un declino dell’era del sultano, del suo governo pro-capitalista e autoritario.