La Turchia calpesta i diritti di donne e bambini. Il popolo turco sta attraversando un momento veramente buio e controverso nella sua storia millenaria, se addirittura permette che il suo sempre più impopolare leader, Recep Tayyip Erdogan, si faccia beffa anche dei diritti di donne e bambini.
Giovedì scorso la Turchia è formalmente uscita dalla Convenzione di Istanbul che regola la lotta alla violenza contro le donne e i gruppi vulnerabili.
E sempre giovedì la Turchia è stata iscritta dagli Stati Uniti nella lista dei paesi implicati nel reclutamento e uso illegale di bambini per scopi bellici.
È la prima volta che questo accade e soprattutto da parte di un Paese membro della Nato.
Migliaia di persone sono scese in piazza in tutta la Turchia (Istanbul, Ankara, Izmir, Hopa, Antalya,Şanlıurfa, ecc.) per protestare contro il ritiro ufficiale di Ankara dalla Convenzione di Istanbul, trattato firmato a partire dal 2011 già da 45 paesi e dall’Unione Europea. Tale accordo si poneva come obiettivo principale, e a cui si dovevano attenere tutti i firmatari, l’impegno a prevenire e perseguire la violenza domestica e al contempo promuovere l’uguaglianza tra i due sessi.
La Convenzione di Istanbul è stata varata in seguito all’omicidio della donna turca Nahide Opuz, che ha ripetutamente chiesto protezione alle autorità locali prima di essere poi uccisa dal marito violento nel 2002. La madre di Opuz si è rivolta alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha stabilito che la Turchia aveva fallito nel suo dovere di proteggere i cittadini nei casi di violenza domestica.
Martedì scorso la più alta corte amministrativa della Turchia ha respinto un tentativo di annullare il ritiro, affermando che Erdogan aveva “l’autorità” per prendere tale decisione. I tumulti popolari si sono moltiplicati in poco tempo nel paese, e sono stati controllati a fatica dalla polizia turca che ha caricato i dimostranti con manganelli e lacrimogeni, dopo un iniziale consenso a manifestare.
Il 19 marzo Erdogan aveva annunciato, tramite un decreto, la non ratifica della Convenzione di Istanbul, appoggiato dagli ultraconservatori del Partito di Giustizia e Sviluppo (AKP), dove viene affermato che il trattato mina l’istituzione della famiglia tradizionale, e dove alcuni vedono in esso una promozione dell’omosessualità attraverso il suo principio di non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale.
I gruppi per i diritti delle donne accusano invece Erdogan di aver annullato gli effetti della convenzione per assecondare i conservatori in un momento in cui il Partito di Giustizia e Sviluppo (AKP) al governo sta registrando i suoi minimi storici di consenso.
Il ritiro dalla convenzione mina fortemente la sicurezza delle donne, visto che i casi di femminicidio sono ormai all’ordine del giorno in Turchia. L’anno scorso 300 donne sono state uccise nel paese, e altre 189 sono state uccise finora quest’anno. Di queste ultime, secondo We Will Stop Femicides Platform, almeno 18 donne sono state uccise il mese scorso, mentre altre 20 sono morte in circostanze sospette. E secondo alcune indiscrezioni trapelate dal blog di notizie Artı Gerçek, dietro alcune delle sparizioni di giovani donne ci sarebbero alcuni esponenti del partito di Erdogan, tra cui Şirin Ünal, Zaynal Abarakov, Musa Orhan e Tolga Ağar. Il segretario generale di Amnesty International, Agnes Callamard, aveva inoltre affermato che “… Il ritiro della Turchia dal trattato invia un messaggio sconsiderato e pericoloso ai colpevoli che abusano, mutilano e uccidono, ovvero che possono continuare a farlo impunemente …”
Il ritiro di Ankara dal trattato aveva ricevuto la condanna sia degli Stati Uniti che dell’Unione Europea.
Infatti, già lo scorso aprile il presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, aveva sollevato il problema. A tutti è ormai noto l’incontro avvenuto a Istanbul e ribattezzato come il “sofagate”, ovvero quando Charlie Michel, presidente del Consiglio Europeo, prese uno degli unici due posti previsti per i colloqui, mentre l’altra sedia fu presa dal leader turco, lasciando che la Von der Leyen si accomodasse su un divano a 4 metri dai due. In questo frangente l’atteggiamento della Turchia nei confronti della Von der Leyen in quanto donna è stato messo chiaramente sotto i riflettori.
Ma questa non è l’unica spada di Damocle che pende sulla testa del sultano di Ankara.
Il Dipartimento di Stato americano ha invitato la Turchia a collaborare, perchè deve cessare il suo supporto operativo e finanziario ai gruppi armati di opposizione che in Siria e Libia impiegano tra le loro fila soldati di minore età – bambini.
Il Dipartimento di Stato ha pubblicato un rapporto dove ha appunto inserito la Turchia tra i governi che ricorrono a questa barbara iniziativa, paesi (ben 14) tra cui anche Siria, Yemen, Iran e Iraq.
Questo report, che tratta generalmente sul traffico di esseri umani, è realizzato ogni anno dagli Stati Uniti, in osservanza della legge sulla prevenzione del reclutamento dei bambini soldato adottata dagli Usa nel 2008, e dove il Dipartimento di Stato americano si obbliga a rendere noto quali governi utilizzano “… minori di 18 anni che partecipano attivamente, in qualità di membro delle forze armate nazionali, nelle ostilità …”.
Come noto la Turchia ha combattuto (e combatte) il gruppo etnico dei curdi in Siria con il sostegno di fazioni ribelli sia moderate che intransigenti – appoggiate anche dalla Siria – e che sono spesso accusate di gravi violazioni dei diritti umani, tra cui barbare uccisioni, torture, e rapimenti nei territori ai confini tra Turchia e Siria. Ankara fornisce sostegno tangibile a queste compagini ed in particolare ai ribelli “moderati” della brigata del Free Syrian Army “Sultano Murad” che ha reclutato bambini siriani per combattere per conto del governo di accordo nazionale in Libia.
Ma tutto ciò è noto sin da maggio 2020, cioè da quando Syrians for Truth and Justice, un gruppo di volontari e ricercatori che documenta le violazioni dei diritti umani perpetrate contro i siriani e in Siria, ha pubblicato un rapporto di 40 pagine che testimonia che il governo turco ha reclutato ribelli e civili siriani, compresi i bambini, e li ha inviati in Libia per combattere a fianco delle forze del GNA, sotto la guida di al-Sarraj, contro l’LNA, guidato da Haftar.
I ragazzi minori, con pochi anni di scuola e nessuna prospettiva di lavoro, sono strappati alle famiglie di origine e reclutati con la promessa di uno stipendio di 3.000 dollari in tre mesi di lavoro e benefit tra sigarette, cibo e alloggio gratuiti. I bambini potevano inoltre contattare dalla Libia le loro famiglie e tornare a casa dopo tre mesi di impiego in battaglia.
Ai bambini soldato venivano rilasciati nuovi documenti con la data di nascita falsificata con cui venivano registrati negli elenchi del personale dell’esercito nazionale siriano. Altri invece hanno usato i nomi dei loro fratelli maggiori.
Molti di questi minori sono stati impiegati nella Divisione Mutasim dove sono stati addestrati in gruppi da 25. Altri sono stati impiegati dalla brigata del Free Syrian Army “Sultano Murad”.
Il Protocollo delle Nazioni Unite sulla Convenzione dei diritti dei bambini ed il loro coinvolgimento nei conflitti armati, impongono alle forze armate dei governi nazionali di non reclutare o utilizzare nelle operazioni belliche nessun minore di età inferiore agli anni 18. Aggiunge ancora che “… Le parti devono adottare tutte le misure possibili per impedire tale reclutamento e utilizzo, compresa l’adozione di misure legali necessarie per vietare e criminalizzare tali pratiche …”.
Considerato che la Libia, la Turchia ma anche la Siria sono firmatari di questo protocollo, e se venisse provato il loro impiego di bambini soldato, sarebbe più che palese un’incriminazione per ripetute violazioni dell’accordo e dei diritti umani.