Dopo i mosaici Santa Sofia, anche quelli di San Salvatore in Chora, già luogo di culto bizantino e poi museo Kariye, verranno coperti. Erdogan ha trasformato un’altra chiesa-museo in moschea. Non serviva, Istanbul è piena di moschee. La decisione, come per Hagia Sophia, ha uno sfondo politico e ideologico spinto al piò becero estremismo.
La Fratellanza musulmana, del resto, odia tutto ciò che è arte. Professa il fondamentalismo religioso, impone l’oscurantismo ideologico, reprime le libertà fondamentali. E il presidente turco incarna perfettamente gli ideali dei Fratelli Musulmani impartiti dal suo maestro, Gulbuddīn Hekmatyār, già guida spirituale di altri capi islamisti, tra i quali Oussama bin Laden.
La trasformazione in moschea di San Salvatore in Chora, non ha nulla di sensato né, tantomeno, era stata invocata da alcuno. I drappi copriranno le opere d’arte per consentire ai fedeli musulmani di riunirsi in preghiera. Un altro sfregio alla sacralità di un opera d’arte senza tempo.
Ma ormai il Sultano ci ha abituato a questo tipo di iniziative. Anche in questo caso, lo strumento giuridico utilizzato è quello della sentenza del Consiglio di Stato che ha annullato la decisione con cui fu istituito il museo nel 1945 che ha permesso a Erdogan di firmare il decreto che ha reso possibile la trasformazione in luogo di culto islamico.
E se nel caso della chiesa di Santa Sofia lo choc ha portato la notizia in evidenza sulle testate internazionali, in questo caso la notizia ha mantenuto un profilo più basso. Forse anche a causa della portata simbolica più modesta della chiesa.
In ogni caso, tutti fanno affari con Erdogan e quindi le condanne per tali iniziative saranno sempre meno frequenti. Anche se il Sultano, bisogna dirlo, sta allargando pericolosamente il proprio raggio d’azione andando a toccare interessi e ambiti che prima o poi chiederanno conto.