L’Isis non sparirà. Anzi, dopo la morte di al Baghdadi potrebbe addirittura risorgere. Ne è convinto Gilles De Kerchove, coordinatore antiterrorismo dell’Ue che, parlando con Adnkronos, ha delineato i possibili rischi derivanti anche dalla scomparsa del Califfo. L’uccisione di Abu Bakr al Baghdadi ha vibrato un colpo importante all’organizzazione dello Stato islamico, anche in considerazione della contemporanea eliminazione del portavoce ufficiale del Daesh, Abu Hassan al Muhajir, candidato alla successione.
Ma se la sconfitta dell’Isis sul terreno di guerra e la morte del suo indiscusso capo hanno messo in discussione il mito dell’invincibilità dello Stato islamico, diffusosi nell’ambito dei suoi sostenitori e simpatizzanti, secondo Gilles De Kerchove, l’organizzazione “aveva previsto la caduta del Califfato e l’eliminazione del suo leader simbolico” e si era premunita decentralizzandosi e dando vita alle province (Wilayat) diffuse dal Sinai alla Nigeria, dall’Afghanistan alle Filippine. Inoltre, continua De Kerchove, l’Isis è un’organizzazione “molto resiliente”. Per tutta la durata del Califfato ha continuato a investire nell’economia reale e a tutt’oggi può contare su numerose fonti di ricavi.
L’operatività del Daesh, che nell’ultimo mese ha messo a segno circa 80 attentati (stima della Bbc) nel teatro siro-irakeno, non sembra essere stata intaccata dai colpi messi a segno dalla coalizione internazionale. Le stime parlano di circa 9.000 combattenti in clandestinità tra Iraq e Siria, oltre alle cellule che operano in quattro diversi Continenti. Un ruolo chiave della caratteristica resilienza del Daesh, secondo De Kerchove, è “l‘ideologia che ha contribuito ad amplificare che continua ad essere molto presente su internet e continua ad ispirare degli attori in tutto il mondo, Europa compresa”.
Le condizioni che hanno consentito la crescita esponenziale delle adesioni al progetto del Califfato in Iraq e Siria, sono rimaste pressoché immutate dal 2011 ad oggi e, l’apporto fondamentale fornito dai musulmani sunniti, non è venuto meno dopo la caduta di al Baghdadi. Il mancato supporto del governo centrale irakeno a una reale politica di ricostruzione e riforma del Paese, “potrebbero portare la popolazione sunnita a sostenere una sorta di Daesh 2.0”.
L’indebolimento del fronte anti-Isis provocato dal ritiro statunitense e il contemporaneo intervento della Turchia contro i miliziani curdi, hanno condotto gli attori in campo a considerare chiusa la partita contro lo Stato islamico, con il conseguente abbandono della vigilanza nei confronti dei miliziani incarcerati nelle prigioni di confine a nord della Siria e ad una parziale perdita di controllo del territorio.
Da considerare anche la problematica legata ai foreign fighters provenienti soprattutto dall’Europa. I tentennamenti dei Governi occidentali, incapaci di stabilire i parametri del “rientro” in Patria dei miliziani di ciascun Paese e alle accuse da rivolgere loro in sede giudiziaria, hanno di fatto creato le condizioni per consentire a terroristi riconosciuti di sfuggire alle maglie della giustizia e il rischio reale di un loro ritorno alla clandestinità o, peggio, ad un impiego in chiave terroristica in Europa.
Secondo De Kerchove, “tutto questo consiglia di restare estremamente vigili” e porta a considerare che la morte di al Baghdadi, che “non era più il gestore, il manager dell’attività ordinaria” dell’organizzazione, “non avrà la conseguenza di far sparire Daesh dalla mappa del terrorismo internazionale”.