A seguito del discorso di Abu Bakr al Baghdadi del 22 agosto scorso, i suoi seguaci pare abbiano preso alla lettera le indicazioni del loro leader: tornare a colpire l’Occidente minacciando l’Europa, non solo con gli ormai sterili proclami sul web. Un rapporto dell’intelligence olandese, infatti, riporta che i miliziani del Califfato, presenti in circa 500 unità nei soli Paesi Bassi, dopo l’attentato sventato dalle forze di polizia nel mese di settembre con l’arresto di sette affiliati al Daesh, hanno tutt’altro che accantonato l’intenzione di compiere azioni nel continente europeo.
Secondo l’Aivd, il servizio segreto olandese, “l’attrazione dell’ideologia jihadista permane ed è quindi da ritenersi una minaccia a lungo termine, il rischio di attacchi è persistente, questo nonostante le sconfitte patite dallo Stato islamico in Medio Oriente”. L’organizzazione, sempre secondo l’Aivd, si è trasformata in un movimento clandestino che si sta preparando a risorgere. Per farlo sta utilizzando la Turchia come base strategica, rappresentando una seria minaccia alla sicurezza dell’Europa.
La Turchia, terra di passaggio per l’Isis
Nel rapporto pubblicato lunedì, l’Aivd ha affermato che dall’inizio del conflitto siriano la Turchia “è stata per molto tempo un trampolino di lancio per un numero senza precedenti di combattenti stranieri che si sono recati in Siria da tutto il mondo”. Di fatto, mentre Ankara combatte i suoi oppositori interni, Pkk e Uck, lascerebbe mano libera ai movimenti di uomini e armi del Califfato diretti verso il continente europeo.
E, in effetti, questa politica di tacito consenso nei confronti dell’Isis, troverebbe una spiegazione plausibile nell’impegno profuso dallo Stato islamico nell’opporsi all’avanzata dei peshmerga. Non é esclusa, dunque, all’autorizzazione al transito di uomini e materiali in territorio turco in cambio dell’esenzione da qualsiasi azione terroristica nel paese di Erdogan.
Una strategia che noi italiani dovremmo ben conoscere poichè già attuata con il “lodo Moro” negli anni del terrorismo palestinese in Europa. Con modalità simili parrebbe riproporsi anche nel periodo storico che stiamo vivendo, essendo rimasti finora fortunosamente esenti dagli attacchi di al Qaeda o dell’Isis.
In Egitto prove tecniche di alleanza al Qaeda – Daesh
L’ipotetico patto non scritto tra Stato islamico e Turchia si scontra con la realtà emergente in Egitto dove, dopo l’attacco della scorsa settimana a Minya contro i cristiani copti, l’Isis avrebbe rivendicato l’azione con due differenti messaggi tramite l’agenzia Amaq. La seconda rivendicazione adduceva le ragioni dell’assalto alla carovana di pellegrini cristiani allo stato di detenzione di alcune jihadiste nel paese delle piramidi, tra le quali, Aisha al Shater, figlia del leader dei Fratelli Musulmani Khairat al Shater e l’avvocato Hoda Abdel Moneim, ex membro del Consiglio nazionale per i diritti umani.
L’attacco del commando di Minya avrebbe quindi rappresentato una sorta di vendetta del Daesh per l’incarcerazione delle “ nostre caste sorelle” e di altri attivisti dei Fratelli musulmani. Fatto di per sé insolito, appurata la accesa rivalità che in passato era stata evidenziata tra lo Stato islamico e la fratellanza musulmana ideologicamente vicina ad al Qaeda.
Questo particolare riferimento al riavvicinamento dei due grandi network jihadisti, secondo alcune fonti egiziane, è stato posto in relazione con le dichiarazioni che la sicurezza de Il Cairo, in collaborazione con quella libica, ha ricevuto da Hisham al Ashmawi, il noto jihadista catturato la scorsa settimana a Derna.
Le rivelazioni di Hisham al Ashmawi
L’uomo, ex ufficiale dell’esercito egiziano transitato dai ranghi dello Stato islamico a quelli di al Qaeda nel Maghreb islamico, avrebbe rivelato di essere stato tra i pianificatori di numerosi attacchi portati a termine nel Sinai ed in Libia compiuti in piena sinergia tra miliziani fedeli al califfo al Baghdadi e quelli aderente ad al Qaeda. Agli investigatori è parso lampante il ruolo di trait d’union svolto dall’ex ufficiale egiziano, soprattutto con riferimento ai gruppi operanti a Derna.
Ma le dichiarazioni di al Ashmawi sono andate oltre. Dopo il suo arresto avvenuto il mese scorso, ha confermato che in Libia, diversi gruppi di miliziani, alcuni dei quali da egli addestrati, si erano trasferiti in Egitto, ma esisterebbero anche numerose cellule dormienti, sul cui ruolo e sulle cui missioni assegnate Ashmawi è rimasto assai vago. Nel maggio 2017, un’intervista un leader della Wilayat Sinai, la provincia sinota aderente all’Isis, è stata pubblicata sul web magazine jihadista Al Naba, ed ha confermato, seppur in modo parziale, il riavvicinamento tra il Califfato ed al Qaeda.
Pur godendo di autonomia operativa, infatti, secondo il leader intervistato, i membri dei diversi gruppi jihadisti “hanno un rapporto fraterno, amorevole e leale con i soldati del Califfato nel Sinai, e siamo tutti i soldati dello Stato islamico nel Sinai e in Egitto. Il targeting delle chiese è parte del nostro combattimento e della nostra guerra contro l’infedeltà e il suo popolo. Ai cristiani diciamo questo: la regola di Allah e del Suo Messaggero è su di voi. Avete solo tre scelte: l’Islam, jizya (la tassa di protezione – nda) o la guerra”.
Le rivelazioni di Ashmawi, connesse con gli eventi occorsi in Egitto, potrebbero fornire una spiegazione plausibile in riferimento alla crescita di episodi terroristici nell’alto Egitto e delineare un quadro inquietante sul riavvicinamento dell’Isis con al Qaeda e confermare l’utilizzo del territorio libico per le attività di reclutamento, addestramento e riorganizzazione di nuove leve di miliziani jihadisti pronti per l’impiego in qualsiasi teatro.