Ancora una volta, nel 2021, il terrorismo jihadista in Spagna ha mostrato una grande capacità di adattamento che gli ha permesso di consolidarsi come fenomeno in continua evoluzione. Le caratteristiche del mondo in cui viviamo oggi, ovvero volatilità, incertezza, complessità e ambiguità, hanno consolidato la locuzione (da alcuni vista come un ossimoro) di Marshall Mc Luhan, secondo cui tutti noi facciamo parte del così detto “villaggio globale”, riferendosi all’idea di unità di tutte le persone in un’unica città mondiale. Egli sosteneva, però, che essa non avrebbe prodotto omogeneità, piuttosto avrebbe contribuito a aumentare le differenze, minandone al contempo l’equilibrio e la sua stabilità. Così oggi, il jihadismo appare come un chiaro effetto e riflesso della filosofia proposta negli anni’60, che porte in sé le grandi sfumature di ciò che oggi conosciamo come “globalizzazione”.
Jacobo Salvador Micó Faus (direttore) e José Luis Gil Valero, di Sec2Crime, sono i coordinatori del progetto che ha dato vita all’interessante “Memoria S2C: 2021. Actividad yihadista en España”. Sec2Crime è una delle maggiori community in Spagna nel campo di ricerca della criminologia, sicurezza e analisi di intelligence. Il team vuole evidenziare come il contesto attuale, lungi dal ridurre il problema, ha aiutato invece il terrorismo jihadista a proseguire il proprio processo evolutivo. Un chiaro cambio di passo si denota, e l’inizio della fine della globalizzazione, come noi la conoscevamo, ha permesso al terrorismo di matrice jihadista di adattarsi al nuovo “reset globale”.
Usa e Spagna, tempo fa, hanno affermato che esiste un forte legame tra l’immigrazione di massa in Spagna nell’ultimo decennio e l’ascesa dell’islamismo radicale nel paese iberico. Da dove arrivano e quali zone della Spagna subiscono maggiormente il fenomeno?
“Una tale dichiarazione sul legame tra l’immigrazione e l’aumento della radicalizzazione jihadista potrebbe essere troppo audace. Tuttavia, è vero, e di buon senso, che un aumento della popolazione che pratica l’islam in Spagna aumenta a sua volta le possibilità di un maggior numero di casi di radicalizzazione. Quindi sarebbe un fattore da prendere in considerazione, ma non un fattore di rischio in quanto tale. È un rischio che ci assumiamo in un ambiente “VUCA” e globalizzato, che a sua volta ci porta tanti benefici. In Spagna in generale, compresi gli arcipelaghi e le città autonome di Ceuta e Melilla, le zone maggiormente problematiche si trovano nelle grandi città come Madrid e Barcellona. I detenuti tendono a condividere caratteristiche comuni in base alla loro nazionalità, con quelli provenienti da Algeria e Marocco che sono i più frequenti”.
I gruppi estremisti attivi in Spagna sembrerebbero più legati da amicizie, vincoli familiari e lealtà alla causa jihadista globale, piuttosto che appartenere ad una determinata organizzazione terroristica. È così?
“Negli ultimi anni, i casi analizzati nel Rapporto Sec2Crime sul Jihadismo in Spagna 2020 e 2021, e altri studi come quelli realizzati dal Real Instituto El Cano sulla radicalizzazione jihadista, così come il monitoraggio realizzato dall’Osservatorio Internazionale per lo Studio del Terrorismo (OIET), hanno dimostrato che i tratti di parentela, amicizia o vicinato sono fattori chiave nel processo di radicalizzazione e non tanto l’organizzazione alla quale si aderisce”.
La Spagna sembrerebbe rappresentare un obiettivo significativo per i gruppi estremisti, ma forse anche un importante hub logistico per lanciare la minaccia jihadista in tutto il mondo. Quali esempi si possono esplicare al riguardo?
“La Spagna è una porta d’accesso all’Europa e all’Occidente. Non è propriamente da considerare come un centro logistico della minaccia jihadista, perché il jihadismo, anche se può sembrare contraddittorio, si è globalizzato e la Spagna è solo un territorio in più che ne è vittima per diverse ragioni, tra le quali possiamo evidenziare la sua posizione geostrategica e la sua storia con Al-Andalus”.
Le componenti terroristiche in Spagna rappresentano una minaccia “amorfa”, ma quali sono i loro strumenti di sostentamento e qual è (se presente) il rapporto con la criminalità organizzata e il traffico di droga?
“Tra gli individui detenuti per reati legati al terrorismo, abbiamo scoperto che molti di loro condividono tratti comuni, come la provenienza da ambienti socialmente svantaggiati e un basso livello di istruzione. Allo stesso modo, molti di coloro che erano stati precedentemente radicalizzati nelle prigioni stavano scontando pene principalmente per reati legati al traffico di droga. La convergenza tra terrorismo e crimine organizzato in Spagna non è stata finora confermata come tale in nessuno degli arresti effettuati nelle varie operazioni di polizia condotte nel nostro paese nell’ultimo anno”.
Le autorità spagnole hanno rilevato, nell’ultimo decennio, che le carceri spagnole sono diventate un sensibile focolaio di radicalizzazione per i detenuti immigrati musulmani. Quale attualmente la situazione, e quali esempi si possono eventualmente rappresentare?
“Come si può vedere dai casi analizzati nel rapporto pubblicato da Sec2Crime, e seguendo l’attuale triste tendenza nell’Unione Europea, le prigioni sono diventate il principale centro di radicalizzazione e reclutamento degli estremisti islamici. All’interno delle carceri, e secondo il ministero dell’Interno e degli Istituti Penitenziari, questi detenuti sono raggruppati in tre categorie a seconda delle loro caratteristiche:
– Primo gruppo: prigionieri che scontano condanne per terrorismo.
– Secondo gruppo: prigionieri che scontano pene per crimini comuni con tendenze religiose radicali.
– Terzo gruppo: prigionieri vulnerabili al reclutamento.
Tra i casi analizzati nel Rapporto, l’operazione “Triangolo”, realizzata dalla Guardia Civil nelle carceri di Daroca (Saragozza) e Murcia II, così come l’operazione realizzata nel Centro Penitenziario Siviglia II di Morón de la Frontera (Siviglia), sono due degli esempi più rilevanti”.
Ad alcuni è sembrato che le autorità spagnole abbiano manifestato a tratti impreparazione e difficoltà nel seguire e contrastare in maniera coesa la minaccia posta dallo jihadismo, date anche le difficoltà al dialogo tra i servizi di intelligence e le forze di polizia nazionali. Che cosa manca ancora?
“Parlare di una mancanza di coordinamento tra le diverse Forze di Sicurezza dello Stato e i Corpi non sarebbe del tutto corretto. Come è stato dimostrato per diversi anni nella lotta contro il terrorismo nel nostro Paese, la cooperazione è stata, e continua ad essere, un fattore chiave. Cioè, sia tra le Forze di Sicurezza dello Stato che con le rispettive forze di polizia regionali coinvolte in diverse operazioni. Molte delle operazioni di polizia realizzate nel nostro paese non sarebbero state possibili senza questa collaborazione, non solo tra le nostre FCSE, ma anche congiuntamente con altre agenzie di sicurezza di altri paesi a livello europeo e internazionale. Come i casi di cooperazione con l’FBI, Europol e anche i servizi segreti algerini e la CIA, per fare un esempio. Ovviamente tutte le attività sono soggette a miglioramenti, non si tratterebbe di vedere cosa manca, piuttosto di concentrarsi su come migliorare ciò che già esiste. La cooperazione tra tutte le forze dell’ordine, sia nazionali che internazionali, è un pilastro fondamentale nella lotta contro il terrorismo, poiché il terrorismo jihadista è una minaccia globale che ci riguarda tutti”.
E la politica? Quali posizioni hanno assunto i principali schieramenti al riguardo?
“Le opinioni e le proposte dei nostri politici su come agire di fronte al terrorismo sono eterogenee, anche se si può dire che tutti sono consapevoli della necessità di “unità” nella lotta contro di esso. Per esempio, il PSOE (Partito Socialista Operaio Spagnolo) dà importanza alla collaborazione tra i diversi organismi nazionali (Polizia Nazionale, Guardia Civil, CITCO); il PP (Partito Popolare), pur spiegando che alcune aree devono essere migliorate, come il divieto di elogi ai membri dell’ETA, dà priorità alla collaborazione europea; Cs (Cittadini – Partito della Cittadinanza) basa la sua strategia sulla prevenzione della radicalizzazione violenta attraverso l’educazione e la creazione di un Osservatorio per studiare il fenomeno; Vox dà la priorità al controllo delle frontiere e al contenimento dell’immigrazione illegale. Infine, dal suo programma, Unidas Podemos dà solo qualche accenno alle sue misure contro il terrorismo, attenendosi a quanto stabilito dall’Unione Europea e dando più importanza alle cause sociali indirette del terrorismo piuttosto che alla lotta contro il fenomeno stesso”.
**Qualunque opinione o affermazione presentata in questa intervista è da ritenersi propria dei coordinatori del report “Memoria S2C: 2021”, e non rappresenta la posizione ufficiale della società Sec2Crime con cui essi operano.