L’Isis rialza la testa e torna a colpire in Siria e Pakistan, dando segni evidenti di un inquietante risveglio. Dal mese di dicembre, infatti, i miliziani del Califfato hanno ripreso gli attacchi contro le truppe leali a Bashar al Assad e i civili siriani allo scopo di riprendere il controllo di territori ricchi di risorse energetiche utili all’organizzazione terroristica per rimpinguare le casse del sedicente Califfato.
Sono due i principali sanguinosi attacchi, lungo altrettante autostrade, nella parte centrale del Paese che hanno provocato circa 60 vittime, la maggior parte delle quali militari siriani. L’azione più recente è quella compiuta sulla direttrice Damasco – Raqqa (ex capitale dello Stato islamico) dove i miliziani del Daesh hanno preso di mira un pullman carico di soldati e civili che si dirigevano verso il nord del paese. L’agguato è costato la vita a 15 persone, tra cui un bambino, e 12 militari governativi.
A fine dicembre gli islamisti avevano colpito un convoglio di camion cisterna carichi di petrolio e combustibili sulla strada che da Homs porta a Deir el zor. Del convoglio facevano parte alcuni torpedoni carichi di soldati dell’esercito siriano, 39 dei quali sono rimasti uccisi nell’azione. La città di Deir el zor, in riva al fiume Eufrate, si trova al centro di una zona ricca di risorse energetiche che la leadership dell’Isis intende riconquistare per sfruttare i giacimenti e rifornirsi di armi ed equipaggiamenti per tentare un alquanto improbabile riscossa.
Resta comunque un dato acclarato che nei mesi scorsi Daesh è riuscito nell’intento di riprendere il controllo su una zona desertica di oltre 4mila chilometri quadrati, dalla valle dell’Eufrate nell’est della Siria alle zone di confine con la Giordania nel sud, dalla periferia di Raqqa a nord fino alle zone a est di Hama e Homs nella Siria centrale. La riconquista di porzioni di territorio, al contrario del passato, non ha comportato comunque un controllo egemone dei centri abitati con un’amministrazione diretta dell’Isis. Piuttosto si è trattato di ristabilire una presenza costante di stanziamenti di miliziani del Califfato in prossimità dei centri urbani o nei villaggi rurali della zona.
Un primo risultato della politica di una lenta ma costante ripresa dei territori reclamati dal Daesh.
Pur nella considerazione che ufficialmente l’Isis in Siria era stato dichiarato sconfitto dalla Coalizione internazionale a guida americana nella primavera del 2019 ed in netto contrasto con l’acclarata neutralizzazione del gruppo terroristico, i dati dell’Osservatorio nazionale per i diritti umani riferiscono che nel solo 2020 l’Isis ha ucciso 819 militari e miliziani filo-governativi, inclusi membri di gruppi filo-iraniani provenienti dal Libano e dall’Iraq. I combattimenti, tuttora in corso, hanno provocato la morte anche di 507 miliziani dell’Isis, segno di un seguito e di una capacità di reclutamento rimasti pressoché immutati nel tempo.
Il Daesh colpisce anche in Asia
Ma i segnali di una netta ripresa delle attività terroristiche dello Stato islamico vengono anche dai Paesi asiatici, in particolare dal Pakistan dove ieri 11 minatori appartenenti alla comunità sciita Hazara, sono stati rapiti e uccisi, alcuni di loro decapitati, dal braccio pakistano dell’Isis nel distretto di Kachhi, nel Belucistan, a sud-ovest del Paese. La componente pachistana dell’Isis ha subito rivendicato il rapimento e l’esecuzione. I corpi degli uccisi sono stati trasportati oggi a Quetta, capitale della provincia, dove migliaia di persone di etnia hazara, tra cui donne e bambini, si sono riuniti chiedendo giustizia per i minatori morti.
La comunità sciita Hazara sta protestando per chiedere giustizia per il massacro e promette di non seppellire i morti, che secondo la tradizione islamica devono essere sepolti “al più presto”, fino all’istituzione di una commissione d’indagine sui frequenti attacchi alla minoranza che porti anche all’arresto dei resposabili del massacro. Sono circa mezzo milione gli Hazari che vivono nella provincia pakistana di Quetta e soggetti a ripetuti attacchi da parte sia degli estremisti sunniti che dello Stato islamico. Il Daesh, infatti, ha dichiarato guerra anche alle minoranze sciite del vicino Afghanistan e ha rivendicato una serie di attacchi mortali in tutta la regione compiuti sino dal 2014.
Nell’aprile 2019, un attentato suicida in un mercato all’aperto a Quetta, compiuto da un miliziano suicida dell’Isis, ha ucciso 20 persone. E nel mese di gennaio l’Isis aveva rivendicato la potente esplosione che squarciò una moschea a Quetta durante le preghiere serali, provocando la morte di 13 persone e il ferimento di altre 20.