Situata a circa 50 chilometri dal valico di Rafah che conduce alla Striscia di Gaza, la città di Al Arish è nota per la presenza del gasdotto denominato Arab Gas Pipeline che, partendo proprio dal Sinai, termina il suo percorso a Tripoli, in Libia. Non è quindi un caso che il Califfato abbia inteso appropriarsi di una comoda via di comunicazione tra il fronte nord, la Striscia di Gaza, l’Egitto e la Libia anche per facilitare, all’occorrenza, lo spostamento di uomini e mezzi. Appoggiandosi principalmente al gruppo egiziano Ansar Bayt Al Maqdis, dopo la sua adesione al Daesh avvenuta nel 2014, Al Baghdadi ed i suoi strateghi hanno dapprima pianificato e successivamente messo in opera un ardito piano per aprire un quarto fronte a nord della penisola del Sinai. L’intenzione del Daesh è sempre stata quella di appropriarsi di un passaggio privilegiato verso Gerusalemme per colpirla agevolmente, ma il tentativo di aprire un fronte a nord di Israele è sempre risultato una chimera, non riuscendo nell’intento di farsi strada tra milizie ostili e, soprattutto, nella zona del Golan, nel folto schieramento dell’esercito israeliano, lo Tsahal. A tale scopo i miliziani da tempo hanno stretto alleanze locali con elementi di Hamas e Jihad islamica per avere libero accesso ai tunnel da e per la Striscia di Gaza in cambio di sovvenzioni ed armi fornite ai palestinesi. La presenza di miliziani alleati sulla direttrice Siria – Palestina – Egitto – Libia, fornita dalle formazioni di Hamas e Jihad islamica nella Striscia di Gaza, il gruppo Takfir wal Hijra a nord dell’Egitto e i libici di Ansar al Sharia in Libia, sono le componenti dell’alleanza esplosiva che ha portato il Daesh a prevalere sulle ingenti forze egiziane schierate nella zona.
Al Arish base per le operazioni del Daesh nel Sinai
La città di Al Arish e la sua provincia sono diventate la base per le operazioni del Daesh nel Sinai, un vero incubo per l’esercito egiziano e le sue forze di sicurezza. Si calcola che dal 2014 siano stati decine, se non centinaia, i soldati di Al Sisi caduti tra le sabbie della penisola dalla data in cui l’Isis ha di fatto formalizzato con un comunicato la nascita della Wilayat Sinai, la provincia del Califfato nel Sinai. Proprio in questa zona gli attacchi sono diventati quotidiani ed è certo il coinvolgimento dei miliziani del Daesh anche negli attacchi contro le due chiese copte che hanno fatto strage di cristiani riuniti in preghiera. Il Califfato, forte della conquista territoriale, ha imposto da subito la Sha’aria, imponendo il pagamento della tassa, la Jizya, ai non musulmani e l’adeguamento dello stile di vita alle strette regole islamiste creando, anche nella zona di Al Arish, la Hisba, la polizia della moralità, seminando il terrore tra la popolazione non avvezza a vedere imposta la legge sharaitica. Nei giorni scorsi, a causa delle continue minacce dell’Isis, decine di nuclei familiari di credo cristiano-copto hanno deciso di abbandonare frettolosamente la provincia del Sinai per trasferirsi nei sobborghi de Il Cairo ritenuti più sicuri.
I cristiani d’Egitto nel mirino del Califfato
L’Egitto da tempo è stato testimone quasi inerme di fronte alle numerose operazioni anti-cristiani portate a termine dal Daesh. In ultimo, nel mese di aprile, le stragi nelle chiese che hanno provocato la morte di circa 50 fedeli. A fronte degli eventi, il presidente Al Sisi ha imposto lo stato di emergenza per la durata di tre mesi. L’inquietante presenza dell’Isis nella penisola del Sinai è un dato allarmante, soprattutto per il controllo che il Califfato ha di fatto ottenuto sulla zona costiera mediterranea che va proprio dal Sinai alla Libia, con il rischio, già più volte segnalato, che i miliziani possano avere gioco facile nell’infiltrarsi tra i clandestini diretti sulle nostre coste o tra quelli diretti alla Striscia di Gaza.
Il Mukhabarat egiziano opera a stretto contatto con il Mossad e lo Shin Bet israeliani, allo scopo di individuare eventuali vie di accesso del Daesh verso lo Stato ebraico e Il Cairo, e la circolarità informativa tra i due paesi sino ad oggi ha fornito risultati confortanti, se non altro per l’opera di prevenzione svolta. A fronte di ciò, gli interlocutori dei Paesi che si affacciano sulle rive opposte del Mediterraneo, primo fra tutti l’Italia, si dimostrano ancora una volta il ventre molle dell’alleanza anti-Califfato e le iniziative politiche ed umanitarie poste in essere dai vari governi altro non hanno fatto che far aumentare il livello di rischio terrorismo in Occidente, con le conseguenze ben note.