Le sanguinose manifestazioni che si succedono da ormai due giorni lungo il confine che separa la Striscia di Gaza con Israele, non accennano a placarsi e, secondo quanto annunciato da esponenti di Hamas e della cosiddetta “resistenza palestinese”, sono destinate a durare almeno sino alla metà del mese di maggio.
Ma la meticolosa preparazione posta in essere per quella che è stata definita “La marcia del ritorno”, in occasione dell’anniversario della Nakba (la catastrofe), con il continuo approvvigionamento di viveri e acqua presso tende, gazebi e baracche, fa sorgere seri dubbi sulla reale spontaneità della manifestazione da parte dei circa 20.000 arabi palestinesi accorsi al limite dei territori controllati dall’Autorità nazionale palestinese, ma in realtà in mano ad Hamas dal 2007. Quello che non è solo un sospetto è che dietro gli scontri, che sino ad oggi hanno provocato 20 morti e più di 1.500 feriti, vi siano presenze inquietanti, da quelle di Hamas, agli Hezbollah e, non in ultimo, di circa 180 miliziani jihadisti “veterani” provenienti dalla Siria ed incaricati di gestire gli scontri che, secondo alcune fonti, verrebbero agevolati dal Millî İstihbarat Teşkilâtı (MİT), il potentissimo servizio segreto turco, su ordine di Erdogan. Proprio il presidente turco, ultimamente, ha espresso opinioni molto particolari sull’eventualità di “unire le forze per la difesa di Gerusalemme”. Dichiarazioni che hanno alimentato le tensioni già latenti in occasione della ricorrenza della Nakba.
A margine degli scontri, Rami Hamdallah, il primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese, ha chiesto l’intervento della comunità internazionale affinché riconosca Israele colpevole di omicidi premeditati, in relazione alla morte di alcuni manifestanti, dimenticandosi di sottolineare che se la “Marcia del ritorno” era stata indetta con assoluto carattere pacifico, centinaia di giovani accorsi alla chiamata, si sono presentati con volti travisati e armati di tutto punto, dai semplici sassi ai cocktail molotov, dalle fionde alle spranghe e tentando più volte di attraversare il confine con Israele.
Appare ovvio sottolineare che se sussiste un’assoluta legittimità del diritto di manifestare il proprio pensiero, ma in modo pacifico, è altrettanto legittimo, da parte delle forze di difesa israeliane, l’obbligo di difendere i propri confini nazionali da qualsiasi minaccia. Cosa che, tra l’altro, in Italia ci siamo dimenticati da anni.