Sono trascorsi tre giorni dalla strage compiuta nel centro di Mogadiscio da due camion carichi di esplosivo e il bilancio continua ad aggravarsi. Sarebbero più di trecento i morti e 450 i feriti, ma la conta delle vittime non accenna a fermarsi.
Secondo una tecnica consolidata, alla prima esplosione, avvenuta vicino al ministero degli Esteri somalo, è seguito l’innesco del secondo camion imbottito di esplosivo, probabilmente tritolo, fatto detonare poco distante dal primo, all’arrivo dei primi soccorritori e dei mezzi per il trasporto delle vittime. Gli ospedali di Mogadiscio sono al collasso. Sono stati lanciati numerosi appelli per la donazione del sangue e sono stati inviati aiuti anche da parte dell’Onu e dell’Unione africana.
Le esplosioni hanno fatto strage tra le centinaia di venditori ambulanti che durate la giornata affollano le strade centrali del quartiere Hodan, nella capitale somala, ma anche di uno scuolabus carico di alunni. L’hotel Safari, devastato dall’esplosione, è crollato, e tra le sue macerie sono ancora in corso le ricerche dei corpi delle vittime. Anche la prospiciente ambasciata del Qatar è rimasta seriamente lesionata, così come tutti gli edifici della zona centrale, colpiti dall’onda d’urto dell’esplosione.
Principali indiziati per l’attentato sono i fondamentalisti islamici al-Shaabab che avrebbero compiuto la strage con l’appoggio di al-Qaeda, indispensabile per la fornitura dell’enorme quantità di esplosivo utilizzato per armare i 2 camion.
Da alcuni mesi, infatti, gli jihadisti somali si avvalgono di consiglieri e tecnici appartenenti all’organizzazione terroristica guidata da Hamza bin Laden, nell’ottica di un radicamento della presenza di al-Shaabab in Somalia e di espansionismo territoriale in Africa orientale. La strategia sarebbe stata concordata con i gruppi di Al Qaeda nel Maghreb islamico, operante nella zona centro – nord del continente africano e di Boko Haram, la cui infiltrazione nella zona occidentale è in costante crescita.
L’obiettivo dei terroristi era, probabilmente, proprio il ministero degli Esteri, preso di mira poiché simbolo della politica filo – occidentale del governo e del presidente somalo Mohamed Abdullahi Mohamed, eletto nel mese di febbraio che, a seguito dell’attentato, ha proclamato tre giorni di lutto nazionale.