L’intricatissima guerra civile siriana continua a mietere vittime. Quasi banalmente, ogni settimana il numero di civili che si vedono togliere la vita per la semplice colpa di essere nati nel luogo e momento storico sbagliato aumenta inesorabilmente di più, rendendo la Siria e la sua guerra un gigantesco tritacarne di esistenze umane. Il bilancio di due raid aerei effettuati dalla Coalizione anti-Isis la scorsa settimana, al confine tra Siria ed Iraq, non ammette repliche, e non perdona: sono centosei le vittime.
La strage dei minori
Ma se da un lato gli Stati Uniti annunciano l’uccisione di almeno tre leader del sedicente Stato Islamico, dall’altro hanno perso la vita 106 esseri umani che non avevano alcuna responsabilità nel conflitto. Tra loro, secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, vi sono almeno 42 bambini. Le vittime erano per la massima parte civili di nazionalità siriana e marocchina, esuli fuggiti dalla capitale dello Stato Islamico, Raqqa, come sottolineato dal portavoce dell’Osservatorio, Rami Abdel Rahman. Morti che si vanno ad aggiungere ad un bilancio di vittime civili sempre più pesante ed insostenibile, a cui l’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Zeid Ra’ad Al Hussein, ha risposto chiedendo esplicitamente una maggiore attenzione nel distinguere obiettivi civili e militari durante gli attacchi aerei. Un monito dovuto, ma forse inutile tanto quanto le passate raccomandazioni pervenute da più parti da sei anni a questa parte.
Come se ciò non bastasse, gli stessi Stati Uniti hanno ammesso la strage, avvenuta nello scorso mese di marzo, di circa un centinaio di civili nella città di Mosul, in Iraq, quando un missile di precisione (un GBU-38) della coalizione anti-Isis aveva colpito una palazzina utilizzata dai miliziani dello Stato Islamico come deposito di munizioni. L’esplosione del fabbricato, avvenuta il 17 marzo, aveva portato alla morte di almeno 105 vittime civili accertate che avevano cercato riparo dai bombardamenti nell’edificio, insieme all’uccisione (secondo il Pentagono) di due cecchini dello Stato Islamico, la cui presenza però non è stata confermata da nessuno dei testimoni dell’esplosione.
La riconquista di Mosul
La riconquista di Mosul passa anche per un altro fronte, quello del regime del dittatore Bashar al-Assad. Le forze sciite filo-Assad, con l’appoggio del governo iraniano, sembrano sempre più prossime alla conquista della città di Mosul, avvicinandosi ogni giorno di più al confine siriano. Uno dei principali obiettivi del governo iracheno infatti è quello di riuscire a controllare l’area di confine con la Siria, in collaborazione con l’esercito siriano supportato dal vicino Iran. Riuscire a collegare i due fronti sarebbe per il presidente Assad un vantaggio consistente nella lotta del regime per reprimere la rivolta che dura ormai da sei anni. La zona di confine infatti risulta essere divisa sul lato iracheno sotto il controllo dello Stato Islamico e dell’YPG, la milizia curda, mentre larghe zone del versante siriano sono attualmente sotto controllo Isis. Gli sforzi delle forze armate irachene pertanto si stanno concentrando nella liberazione di quella che è di fatto la capitale attuale dello Stato iracheno, Mosul, eradicando le ormai poche sacche di resistenza rimaste in città battenti la bandiera nera del califfato.
L’offensiva, partita lo scorso fine settimana, mira alla cattura delle ormai poche enclavi rimaste nelle mani dei ribelli, tra cui la città vecchia e pochi quartieri adiacenti. Ma nulla lascia ipotizzare che i combattimenti potrebbero concludersi per questo motivo più in fretta, o portare a un ritiro delle forze ribelli verso linee più sicure dietro cui trincerarsi: una nuova controffensiva dello Stato Islamico sembra essere da escludere nel breve termine, e la caduta della città di Mosul porterebbe a tutti gli effetti alla fine del controllo del califfato sul territorio iracheno. Un colpo durissimo, a quasi tre anni dalla dichiarazione della nascita del califfato da parte del leader dello Stato Islamico Abu Bakr al-Baghdadi. Fatta, guarda caso, proprio a Mosul. Un luogo dove tutto è iniziato e da cui, forse, tutto potrebbe iniziare a finire.