L’avanzata delle truppe irachene verso Fallujah. La città, roccaforte dello Stato Islamico in Iraq, dal gennaio 2014 è in mano alle milizie di al Baghdadi. La riconquista da parte delle forze governative, coadiuvate dall’azione delle milizie sciite filo-iraniane, ha subito una battuta d’arresto a causa della resistenza dei jihadisti e per il timore di colpire i civili. Ieri, però, le forze antiterrorismo dell’esercito iracheno hanno preso il controllo di Shuhada, un quartiere a sud di Fallujah.
Quella di Fallujah è una vera e propria catastrofe umanitaria. In più di 50.000 sono ancora intrappolati nelle zone controllate da Daesh. Secondo quanto riportato dal quotidiano britannico The Independent, le famiglie che hanno provato a fuggire sono state massacrate dai miliziani del’Isis e utilizzate come scudo umano per proteggere le loro postazioni dall’assalto dei soldati iracheni. Sir Jeremy Greenstock, ex inviato speciale del Regno Unito per l’Iraq, in un’intervista alla radio britannica Radio 4, dopo aver confermato la presenza di ex membri del partito Ba’ath e del governo di Saddam Hussein tra gli insorti di Fallujah, ha dichiarato che per le truppe governative non c’è modo di riprendere la città senza infliggere seri danni anche alla popolazione civile. Una teoria confermata da quanto sta accadendo sul campo e dai volontari del Norwegian refugee council presenti in città. I civili non hanno vie di fuga. Da un lato i jihadisti, dall’altro le truppe irachene e l’aviazione della coalizione occidentale, fondamentale per la buona riuscita dell’operazione di riconquista della città. La situazione della popolazione è ulteriormente aggravata dall’azione delle milizie paramilitari. Il rischio di scontri settari è altissimo. Fallujah, seconda città della strategica provincia di al-Anbar, è a forte maggioranza sunnita. Motivo per il quale il governo iracheno ha suggerito ai gruppi sciiti filo iraniani, indispensabili per la cattura di numerose aree sotto il controllo dell’Isis, di astenersi dal partecipare all’offensiva su Fallujah. Sulla stampa anglosassone il ruolo di questi gruppi paramilitari è stato analizzato con particolare attenzione. Sia il Washington Post, che il The Guardian, hanno dedicato alla vicenda ampi spazi sulle loro edizioni online. Come ricorda il WP, l’appello iniziale del governo di Baghdad è caduto nel vuoto. Hadi al-Amiri, leader dell’organizzazione Badr, una tra le più importanti milizie sciite filo iraniane, in risposta alle dichiarazioni del governo ha affermato: “Nessuno può impedirci di andare lì”. L’intervento sciita nella battaglia di Fallujah può creare seri problemi. Se è vero che lo sforzo dei paramilitari filo-iraniani è stato fondamentale, un loro eccessivo coinvolgimento rischia di replicare lo stesso scenario di scontro settario alla base dell’avanzata delle milizie dello Stato Islamico nel paese.
Mentre a Londra e Washington sembrano più concentrati sullo sviluppo della situazione irachena e sui possibili scenari di scontro, a Mosca a tenere banco è la Siria. Daesh, a rischio estinzione in Iraq, è in seria difficoltà anche in Siria, dove l’esercito di Damasco continua la sua avanzata verso Raqqa, considerata la capitale dell’autoproclamato Stato Islamico. Lo scorso tre giugno, come riportato dall’edizione in lingua inglese dell’agenzia di stampa russa Sputnik News, l’esercito di Bashar al Assad ha lanciato un attacco verso l’Eufrate per liberare Raqqa. La nuova offensiva è stata però accolta con perplessità dal comando militare russo. Dalla liberazione di Palmira gli obiettivi russi e siriani sembrano non coincidere più. I generali di Mosca avrebbero preferito, infatti, concentrare gli sforzi sulla liberazione di Deir Ezzor, importante centro industriale del paese e sede di una base aerea assediata da tre anni. Le ragioni del governo siriano hanno una valenza d’immagine più che strategica. I curdi del Rojava, aiutati dall’aviazione statunitense, sono anche loro sulla via di Raqqa. La riconquista della città da parte delle milizie curde sarebbe un duro colpo per l’immagine di Damasco, ecco perché, per Assad e per i suoi alleati iraniani, l’offensiva sulla capitale dello Stato Islamico è un’ assoluta priorità.
La battaglia per Raqqa è l’emblema anche dello scontro a distanza tra Russia e Stati Uniti. Da un lato il governo siriano alleato di Mosca, dall’altro i curdi, appoggiati dall’amministrazione americana. Un duello che prosegue anche a suon di interviste e dichiarazioni più o meno ufficiali. Come quella del ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ai media russi, in cui accusa gli Stati Uniti di considerare al-Nusra, braccio siriano di al-Qaeda, parte dell’opposizione moderata e di aver chiesto pertanto al Cremlino di non bombardare le aree sotto la sua influenza. Una versione smentita da Washington che, al contrario, sottolinea come la fine delle ostilità passi per una visione condivisa del futuro della Siria.