Russia, Turchia e Iran provano a porre fine alla guerra in Siria. Dalla mezzanotte del 6 maggio è entrato in vigore il nuovo accordo raggiunto nel corso del vertice di Astana che prevede la creazione di quattro zone “cuscinetto”, il cui obiettivo è quello di raggiungere un cessate il fuco definitivo e mettere fine alle ostilità.
L’intesa, siglata il 4 maggio ad Astana, in Kazakistan, riguarda la provincia di Idlib, Aleppo, Homs, Hama e Latakia, insieme a Ghouta, zona ad est di Damasco, e le zone meridionali delle province di Dara’a e Quneitra. La durata è di sei mesi con possibilità di proroga. Russia, Iran e Turchia si confermano i veri deus ex machina nella guerra civile siriana. “La Troika Russia–Iran–Turchia è lo strumento più efficace per risolvere la crisi siriana”, disse nel dicembre scorso il ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov. Da allora, la partnership tra i tre paesi è continuata a crescere portando a un accordo significativo, seppur ad alto rischio, che è stato definito dall’inviato dell’Onu per la Siria, Staffan De Mistura, “importante, promettente e positivo, un passo avanti nella giusta direzione, la de-escalation del conflitto”. Un’intesa che è, però, stata respinta al mittente dai rappresentati dei ribelli presenti in Kazakistan che, per bocca del loro portavoce Osama Abu Zaid, hanno definito “inaccettabile” un accordo che prevede il cessate il fuoco solo in una parte del territorio siriano. L’accordo di Astana è il risultato del progressivo riavvicinamento tra Mosca e Ankara dopo il tentativo di colpo di Stato in Turchia, di cui il presidente Recep Tayyip Erdogan, accusa il suo ex sodale Fetullah Gulen, attualmente in esilio negli Stati Uniti. La protezione concessa da Washington a Gulen ha portato a uno strappo tra Turchia e Stati Uniti e al progressivo riavvicinamento tra Erdogan e il suo omologo russo, Vladimir Putin, dopo che l’abbattimento di un velivolo russo da parte delle forze aeree turche, nel novembre del 2015, aveva notevolmente raffreddato le loro relazioni bilaterali. Nonostante le posizioni divergenti sulla guerra siriana, Russia e Turchia stanno lavorando insieme per cercare una soluzione alla crisi che possa portare a un accordo favorevole a entrambe le parti.
La spartizione del territorio siriano
Il destino della Siria sembra, però, segnato. All’orizzonte si prospetta una spartizione per zone di influenza. Il governo siriano controllerà la zona occidentale del Paese e le principali città, come Aleppo e Damasco, mentre la zona nord-orientale del Paese, verrà, con tutta probabilità, lasciata ai ribelli filo-turchi. Tra i nodi da sciogliere quello relativo al destino dei curdi e quello riguardante la sorte dell’autoproclamato Stato Islamico. La Turchia considera i gruppi curdi affiliati al PKK, come l’Ypg, una minaccia alla sua sicurezza nazionale. L’operazione scudo dell’Eufrate, lanciata lo scorso anno dalle forze armate di Ankara, ha l’obiettivo di respingere i curdi dalla frontiera con la Turchia e di creare una buffer zone al confine con la Siria. La vera partita si gioca a Raqqa, capitale del califfato di Al Bagdadi. Chi prende Raqqa, prende una buona fetta di Siria. Con russi e siriani tagliati fuori dalla corsa alla città, poiché impegnati su fronti ben più decisivi a ovest, in corsa rimangono turchi e curdi che hanno ricevuto il supporto degli Stati Uniti. Il rischio è una escalation tra Turchia e Stati Uniti. Il consigliere di Erdogan, Ilnur Cevik, intervistato da una radio turca ha detto che “se il guerriglieri del Pkk – intendendo quelli dell’Ypg – continuano a portare avanti le loro azioni in Turchia, che come sapete si infiltrano dalla Siria, diversi veicoli Usa – alcuni blindati sono entrati in Siria per sostenere l’avanzata dell’Ypg verso la città di Raqqa, capitale dell’Isis in Siria – potrebbero essere colpiti accidentalmente”. La corsa a Raqqa è aperta, ma la parola fine in questo massacro è ancora lontana.
@alecaschera