Sole, mare e samba. Con questi presupposti Rio de Janeiro accoglieva a braccia aperte la candidatura per le Olimpiadi 2016. Ma i mesi precedenti all’evento avevano già mostrato scricchiolii e pericoli, gli stessi che poi hanno portato a galla tutti i difetti di un’organizzazione lacunosa e parziale.
L’arresto del presidente dei Comitati olimpici europei Patrick Hickey, con l’accusa di traffico illecito di biglietti, è solo l’ultima conferma che molte cose a Rio non hanno funzionato. I timori sulla sicurezza di tifosi e atleti non sono stati alleviati e il bilancio finale parla di episodi criminali, rapine, omicidi e difetti strutturali. Gli impianti di gara sono forse la nota più positiva dell’Olimpiade. Strutture all’avanguardia e spettacoli garantiti sia nella sontuosa cerimonia inaugurale che durante le gare. Diversamente si può raccontare del villaggio olimpico. Camere spartane, problemi idraulici e delle fognature, mense a menu ridotto. Le lamentele degli atleti sono state pacate, ma la voce si è alzata quando i disagi sono diventati pericoli.
Furti nelle stanze, rapine intorno al villaggio olimpico. Un clima talmente surreale che sono arrivate anche le rapine simulate, come quella che ha coinvolto tre nuotatori statunitensi, tra cui il campione Ryan Lochte. Gli atleti avevano raccontato di essere stati bloccati e derubati su un taxi da persone armate di pistole e coltelli, descritti poi come agenti della polizia locale. L’episodio ha assunto pieghe oscure. Pochi giorni fa, dopo aver fermato all’aeroporto due atleti coinvolti, l’episodio si èrisolto con il retrofront di Lochte, che ha ammesso la totale invenzione del furto. Gli inquirenti hanno poi rivelato che sarebbero stati invece gli atleti,ubriachi, a creare problemi in una stazione di servizio. Caso che è valso le scuse ufficiali della Federazione statunitense. Non è l’unica vicenda olimpica circondata di mistero. Quella che ha fatto più scalpore accade il 5 agosto, quando un uomo uccide un rapinatore dopo una lotta corpo a corpo. Inizialmente l’omicida era stato identificato come il vice console russo a Rio de Janeiro. E le prime notizie riportavano la morte del diplomatico, non del rapinatore. Poche ore dopo il lancio della notizia, l’ambasciata di Mosca ha smentito qualsiasi legame con l’uomo, che si è rivelato infine un cittadino brasiliano.
Le vicende di sangue hanno coinvolto anche gli scontri tra forze armate e narcos all’interno delle favelas, uno dei pericoli più temuti dai turisti prima dell’inizio dei Giochi. E’ di pochi giorni fa la notizia di un poliziotto ucciso in una delle favelas più pericolose di Rio. Gli scontri tra militari e narcos hanno messo in pericolo più di una volta, anche i giornalisti. Dopo la disavventura capitata ai corrispondenti cinesi, mercoledì scorso, un autobus di reporter e volontari in viaggio dalle strutture di gara di Deodoro (le più discusse proprio perché molto vicine alle favelas più grandi) fino al villaggio olimpico. Le autorità brasiliane hanno archiviato la vicenda come un lancio di sassi, ma una giornalista americana presente tra i passeggeri ha chiaramente parlato di colpi di arma da fuoco. Proprio negli stessi giorni sono emerse sui social network le prime reazioni delle popolazioni delle favelas: “La tregua olimpica è finita”. Il tumulto delle favelas era già arrivato, il 13 agosto, con un proiettile, nella sala stampa del centro di equitazione di Deodoro. Uno dei tanti segnali che dimostrano che il problema più grande di Rio era stato solo arginato, nascosto, cristallizzato, nella speranza che tutto filasse liscio. Che non sarebbe andata così si era capito già nel giorno dell’inaugurazione, quando un ragazzo di 22 anni era stato ucciso da un poliziotto poco fuori dallo stadio Maracanà. Le immagini del corpo del ragazzo hanno fatto il giro del mondo, ma la verità sulla vicenda è rimasta anche questa volta sospesa. Forse un tentativo di rapina. Stessa causa della morte, nello stesso giorno, di un architetto di 51 anni, Denise RiberiroDias, nella zona portuale della città. Anche lei freddata, mentre era in macchina, dai rapinatori.
Il timore per la vita degli atleti non è arrivato solo dalla minaccia armata, ma anche dall’inquinamento delle acque. Contaminate da fognature e spazzatura quelle dell’oceano carioca, prive di disinfezione quelle delle piscine olimpiche.
Dopo la denuncia di inquinamento nella baia di Guanabra, nelle quali erano stati ritrovati anche diversi cadaveri, le acque che ospitavano le gare come quelle di vela e canottaggio, sembravano aver superato i controlli del Cio. Ma a pochi giorni dall’inizio delle competizioni, è arrivata la prima denuncia. Evi Van Hacker, velista belga, ha avuto un malore determinato da un’infezione intestinale contratta nelle prove di luglio. La causa è un batterio responsabile di dissenteria e resistente ai farmaci. Uno dei principali accusati della contaminazione, sebbene invisibile. Impossibile da nascondere invece, il problema delle piscine olimpiche. L’acqua si è colorata da blu a verde a causa del periossido di idrogeno, sostanza usata per pulire gli impianti che perde il suo effetto se utilizzata in acque contenenti il cloro. Anzi, ha incoraggiato la proliferazione di microorganismi che hanno dato quell’aspetto e quell’odore, sgradevole, denunciato dai nuotatori. L’organizzazione ha minimizzato l’accaduto, negando qualsiasi pericolo, ma alcuni tuffatori hanno lamentato problemi agli occhi. Inoltre, le difficoltà sono arrivate anche a livello visivo perché risultava più difficile distinguere cielo e acqua. Il problema ha reso necessario, per le gare di nuoto sincronizzato, svuotare e riempite di nuovo le piscine. Impossibile giudicare, con quel colore, i movimenti delle atlete sott’acqua, normalmente cristallina.
Alla conclusione dei giochi il motto olimpico quindi è cambiato: code, acque inquinate e rapine. Il tentativo, in parte fallito, di garantire la sicurezza dei tifosi, si è infatti tradotto in code chilometriche e distanze enormi da percorrere a piedi per accedere alle gare. Condizioni che hanno portato alle lamentele di molti spettatori, impazienti anche per i lunghi controlli di sicurezza. Una situazione dovuta anche alla scarsa disponibilità di volontari, numericamente insufficienti e lasciati senza guida e regole. Molti si sono limitati a raccogliere magliette e gadget per poi sparire dopo pochi giorni.