Scontri in Francia: attacco alla UE?
Per giorni la Francia è stata caratterizzata da un’ondata di eccezionale violenza che la stampa internazionale ha ritenuto, per lo più, di interpretare facendo riferimento al fallimento delle sue politiche di integrazione e al razzismo serpeggiante tra le forze di polizia del quale, secondo la narrativa mainstream, avrebbero fatto le spese gli immigrati provenienti dalle sue ex colonie, ovverosia dai Paesi di
quella regione sahariana e subsahariana, solitamente nota come Françafrique, comprendente Benin, Burkina Faso, Guinea-Bissau, Costa d’Avorio, Mali, Niger, Senegal, Togo, Camerun, Repubblica
Centrafricana, Ciad, Congo-Brazzaville, Guinea Equatoriale e Gabon: i quattordici Paesi dei quali dal 1961 Parigi detiene le riserve nazionali come stabilito dagli accordi alla base della creazione del famigerato,
prima ancora che famoso Franco CFA. Un’area dove è quanto mai forte la sensazione di essere derubati e
dove, proprio per questo, la tensione potrebbe salire se adeguatamente surrettiziamente stimolata da quanti qui hanno tutto l’interesse ad un fattivo subentro perorato in ogni modo possibile a cominciare dal
supporto dato in Occidente, ma non solo, alla tesi che individua proprio nel Franco CFA la causa prima della condizione di arretratezza dell’intera regione, nonché della forte emigrazione, anche clandestina, dei più risoluti ed intraprendenti figli di questa terra mossi da un legittimo desiderio di riscatto, ma pure agiti da rancori, frustrazioni e rabbie che non hanno certamente favorito proprio in Francia l’incontro con i Francesi. Come sempre in questi casi gli uni e gli altri, gli immigrati e gli autoctoni, hanno finito per mutare la poca consapevolezza della perniciosità per entrambe le comunità –quella degli ospitati e quella degli ospitanti– della radicalizzazione del rifiuto reciproco degli uni per gli altri, gettando le basi su cui è crescita, rigogliosamente a quanto pare, la mala pianta dell’odio razziale e dei movimenti che di tale odio hanno fatto da cassa di risonanza per quanti a vario titolo hanno anche speculato politicamente su tutto ciò. Si tratta di un fenomeno noto il tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Francia, dall’Inghilterra all’Italia e via discorrendo: aree geografiche in cui tale stato di cose si è spesso tradotto in politiche e progettualità di stampo populista che hanno fatto proseliti tra gli emarginati di entrambe le parti a stretto uso e consumo di coloro che su tali divisioni hanno costruito negli anni le proprie carriere politiche: si vedano, ad esempio, le posizioni assunte da una certa destra nazionalista statunitense e tradotte in proclami di facile presa sulle masse dall’ex Presidente Trump; come pure da personaggi come Matteo Salvini e a Giorgia Meloni in Italia e da Marine Le Pen in Francia. A fare da contraltare a tutto questo abbiamo assistito pure alla nascita
e crescita dei populismi di indirizzo diverso, dediti al peroramento, ma solo a parole, delle cause dei diversi, degli esclusi, degli emarginati e degli immigrati, al solo scopo di prevalere in sede elettorale, giocando una analoga partita volta al perseguimento, per lo più, dei propri esclusivi spiccioli interessi personali e delle ristrette cerchie clientelari…..
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