C’è aria nuova in Europa. Dalla’Italia alla Francia, passando per il Regno Unito, giovani leader sono consapevolmente impegnati nel raggiungimento di un comune obiettivo: una nuova identità europea. E a farne le spese potrebbero essere gli attuali capi ‘big boomer’ del Vecchio Continente.
E se il nuovo ordine mondiale non fosse quello auspicato da Putin e Xi Jinping? Se al posto della contrapposizione tra visione unipolare e multipolare ci fosse invece all’orizzonte un cambio generazionale, con tutto quello che questo comporta? E se la vecchia Europa fosse il centro di questo cambiamento attraverso giovani leader che hanno stretto un patto non dichiarato per costruire una nuova identità europea?
Alla vigilia delle elezioni europee e americane, il 2024 potrebbe rappresentare l’inizio di un mondo nuovo non solo in termini di equilibri geopolitici. L’ipotetico cambiamento sarebbe ancora nella sua forma embrionale, ma alcuni osservatori iniziano a tracciare una linea che va lontano, molto oltre ciò che Putin e compagni possono immaginare e auspicare. Vero, tutto è ancora incerto ma le analisi servono anche a disegnare uno scenario futuro possibile.
E quindi, tra capi di Stato democratici e dittatoriali, il mondo si appresterebbe a cambiare, forse nel giro di qualche anno. O forse ancora prima. L’età avanzata di alcuni leader, dagli Stati Uniti alla Russia, passando per Cina, Turchia e Iran, solo per citarne alcuni, impone ad esempio una riflessione. Non è detto, infatti, che la Russia dopo Putin sarà la stessa. Riuscirà il cerchio magico dello zar a mantenere, con la stessa forza, l’ideologia del leader? E questo vale anche per la Cina di Xi, dove le regole della dittatura non lasciano trasparire malumori e dissidi interni, ma questo non vuol dire che non esistano.
Discorso parzialmente diverso si può fare per gli Stati Uniti, la più grande democrazia del mondo, innovativa e sempre all’avanguardia, dove oggi però a contendersi la poltrona da Presidente ci sono un “deficiente” e un “delinquente”. Così almeno vengono definiti Biden e Trump dagli schieramenti avversari. Federico Rampini, sul Corriere della Sera del 12 febbraio 2024, scrive: “È inaudito che una nazione giovane, all’avanguardia nell’innovazione tecnologica, con l’economia più dinamica del mondo, sia ridotta a scegliere il proprio leader tra un ‘deficiente e un delinquente’: battuta offensiva e persino volgare che però riassume in modo brutale come le due Americhe percepiscono ciascuna il candidato dell’altra”. L’articolo di Rampini apre a riflessioni sul destino degli Stati Uniti, ma non solo. E chissà, magari alla fine di questo duello nessuno dei due candidati sarà il nuovo Presidente Usa.
Ampliando l’orizzonte, si nota che la lotta tra visione del mondo unipolare contro quella multipolare rischia di apparire vetusta, e in parte lo è già se ragioniamo con la sola logica del mondo post Guerra Fredda. I giovani, a tutte le latitudini, difficilmente riescono a interpretare e fare propria un’ideologia del genere. Soprattutto quando l’Europa, vecchia e decadente, riesce ad esprime giovani leader come Macron, Meloni e Sunak (tutti nel G7).
Cosa sta accadendo? Nel Vecchio Continente è in atto un fenomeno occasionale o l’inizio di qualcosa di diverso che ha, nelle giovani leve, la sua chiave di lettura?
Prendiamo il caso dell’Italia, dove per la prima volta il Presidente del Consiglio è una giovane donna, Giorgia Meloni. Al netto della condivisione ideologica, nessuno può negare la straordinarietà dell’evento. Sulla stessa scia Emmanuel Macron, l’enfant prodigé, eletto presidente della Francia a 40 anni e oggi al suo secondo mandato, che attualmente ha come Primo Ministro un giovane uomo di appena 35 anni, Gabriel Attal, il quale si vocifera stia studiando per sostituire, un giorno, lo stesso Macron. Nella vecchia Inghilterra, dove pure un’istituzione come la monarchia è presente e amata, svetta il profilo di un Primo Ministro nato addirittura nel 1980, Rishi Sunak. In Finlandia, invece, dal 2010 al 2023, un’altra giovane donna, Sanna Marin, ha ricoperto il ruolo di Primo Ministro, ma che oggi ha deciso di lasciare il Parlamento per lavorare nella fondazione di Tony Blair, ma che merita di essere citata per essere stata la Premier più giovane al mondo. Ora qualcuno non esclude un ritorno, in futuro, nella politica nazionale.
Una generazione giovane e dinamica, capace di comunicare pur nelle rispettive differenze. Un network di giovani leader che, pur partendo da una forte cultura identitaria nazionale, riesce a fare squadra potendo, in prospettiva, indebolire da un alto il protagonismo della Germania e dall’altro fiaccare l’oligopolio Russia-Usa- Cina. E se dovesse andare a buon fine il progetto di difesa comune europea, inoltre, lo scenario geopolitico mondiale potrebbe davvero cambiare.
Sembra quasi che da qualche tempo in Europa ci sia la necessità fisiologica del nuovo, soprattutto in termini di idee e energie, che viaggi di pari passo con lo sviluppo tecnologico e che sia in grado di cavalcarlo e domarlo, che sappia interpretare le istanze che arrivano dalla società che muta. E tutto questo mentre Putin vaticina la ricostruzione dell’impero sovietico, Biden confonde l’Iraq con l’Ucraina e Trump pensa all’isolazionismo americano, e da Pechino Xi minaccia di invadere militarmente Taiwan. Come si può pensare che la logica di conquista attraverso la guerra, tipica del periodo pre Guerra Fredda e utilizzata dalla Russia in Ucraina, sia ancora valida nell’era dell’intelligenza artificiale?
Anche in Europa non mancano leader non più capaci di interpretare fino in fondo le istanze di una società iper connessa dove le nuove generazioni, sempre meno tolleranti nei confronti delle guerre combattute sul campo, e la tecnologia galoppante mettono in difficoltà la vecchia politica. Profili come quello di Olaf Scholz ad esempio, il cancelliere tedesco, rischiano di non essere adeguati alle sfide future.
In altri luoghi, come l’Iran ad esempio (che certo non è una super potenza ma che, tuttavia, al momento sta giocando un ruolo determinante negli equilibri del Medio Oriente), la componente di dissidenti è sempre più alta. Secondo alcune analisi, nel Paese si sta formando un esercito di giovani leve, cresciute in parte con l’avversione al regime che, una volta venuto a mancare il leader, potrebbe riuscire a prendere il potere e cambiarne il volto. Il condizionale è d’obbligo, considerate le condizioni sociali, economiche e politiche di paesi da decenni nella morsa dell’autarchia. Ma i primi vagiti di una rivoluzione potrebbero nascere proprio nel momento della transizione. Se è vero che l’ayatollah Ali Khamenei (che al momento come unica arma contro il dissenso usa la violenza) cerca il suo successore tra gli uomini più vicini per garantire la sopravvivenza del regime, ci sono altri leader come Erdogan in Turchia che ha già raggiunto una certa età. Anche qui si pone il problema della continuità, che non è affatto scontata vista la politica dittatoriale messa in campo dal Sultano. Da Istanbul ad Ankara, sotto la cenere coverebbe un movimento volto a ribaltare l’immagine del Paese.
E quando queste figure, diciamolo francamente parecchio agee, non saranno più in grado di tenere le redini nazionali e mondiali, chi prenderà il loro posto? È certo che saranno sostituiti dagli eredi di quelle ideologie e quei comportamenti? Negli Stati Uniti, secondo Rampini, democratici e repubblicani non sarebbero ancora in grado di esprimere validi sostituti. Ma forse è questione di tempo, in alcuni casi poco, per tutti?