Sanzioni alla Russia: tre anni di notizie contraddittorie
Dal 2022 a oggi, le sanzioni contro la Russia sono state uno degli strumenti principali utilizzati dall’Occidente per colpire l’economia di Mosca e limitare la sua capacità di sostenere l’invasione dell’Ucraina. Ma funzionano davvero? Guardando le dichiarazioni degli ultimi tre anni, emerge un quadro contraddittorio, in cui le sanzioni sembrano alternarsi tra successi e fallimenti.
2022: le sanzioni colpiscono la Russia, almeno sulla carta
All’inizio del conflitto, la strategia sanzionatoria sembrava dare risultati immediati. Il 30 aprile 2022 si parlava della necessità di nuove restrizioni sul petrolio, segno che le prime misure stavano funzionando. Poco dopo, il 13 maggio 2022, arrivava la conferma che il divieto di esportazione di microchip stava mettendo in difficoltà l’industria militare russa: circolavano immagini di carri armati russi con componenti presi dalle lavastoviglie.
L’8 settembre 2022, l’attenzione era ancora sulla carenza di tecnologia avanzata: la stampa definiva Putin uno “spaccone” e sosteneva che la macchina bellica russa fosse in crisi per via della mancanza di chip. A novembre, i dati economici sembravano confermare questa narrazione: l’8 novembre 2022 i report parlavano di un calo del PIL russo e di risorse in esaurimento.
2023: le sanzioni iniziano a perdere mordente?
A inizio 2023, la narrativa cambiava. Il 31 gennaio, un’inchiesta rivelava che la Russia aveva trovato il modo di bypassare le restrizioni e che microchip e pezzi di ricambio continuavano ad arrivare. Tuttavia, a ottobre e dicembre la politica europea e americana insisteva sulla loro efficacia. Il 17 ottobre 2023, l’UE ribadiva che le sanzioni stavano funzionando e che era pronta a inasprirle. Il 18 dicembre 2023, il vice-segretario al Tesoro degli Stati Uniti confermava lo stesso concetto.
Ma il dubbio era ormai concreto: se le sanzioni funzionavano davvero, perché continuare a vararne di nuove?
2024-2025: le contraddizioni esplodono
L’inizio del 2024 segna un punto di svolta: il 6 febbraio, per la prima volta, emerge ufficialmente il contrario di quanto detto fino a quel momento. “Le sanzioni contro la Russia non funzionano” titolano i giornali, lasciando intendere che il blocco economico imposto dall’Occidente non ha avuto gli effetti sperati.
Solo due mesi dopo, il 10 aprile 2024, si torna a sostenere che le sanzioni funzionano, ma non abbastanza. Tuttavia, il 6 agosto 2024, la Banca Mondiale pubblica un rapporto che mostra numeri difficili da ignorare: il PIL reale della Russia cresce del 3,6%, quello nominale del 10,9% e il reddito pro capite aumenta dell’11,2%. Un’economia in difficoltà difficilmente registrerebbe simili dati.
Nel 2025, il dibattito non si placa. Il 22 gennaio, il vicepresidente della Commissione Europea Dombrovskis ribadisce che le sanzioni funzionano e stanno portando al declino di alcuni settori industriali russi. Pochi giorni dopo, il 12 febbraio 2025, la Russia viene descritta come soffocata dal deficit e dal peso della guerra.
Le sanzioni funzionano o no?
Dopo tre anni di dichiarazioni contraddittorie, la domanda resta aperta: le sanzioni hanno davvero indebolito l’economia russa o, al contrario, Mosca ha trovato il modo di adattarsi e aggirarle?
I dati economici mostrano che la Russia ha mantenuto una certa stabilità, mentre sul fronte industriale e bellico le difficoltà non sono mancate. Ciò che è certo è che la narrazione ufficiale è cambiata più volte, lasciando spazio a dubbi sulla reale efficacia delle misure adottate dall’Occidente.