Repubblica Democratica del Congo: una terra da scoprire?
Tanti gli interrogativi dopo l’attentato al convoglio dell’Onu dove hanno perso la vita l’ambasciatore italiano, Luca Attanasio, il carabiniere della scorta, Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo, l’autista del fuoristrada su cui viaggiavano.
Ma forse il Congo non è poi quella meravigliosa terra da scoprire di cui tutte le guide turistiche del mondo parlano. Il Daily Telegraph, un quotidiano del Regno Unito, ha pubblicato in passato la guida ai luoghi meno conosciuti del mondo dichiarati patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, e tra questi appunto la Repubblica Democratica del Congo.
Ma il Congo è un paese colmo di contrasti e paradossi
Esso detiene scenari paesaggistici incantevoli, una natura assolutamente incontaminata, una fauna eterogenea e ricca di specie poco conosciute, tuttavia risente fortemente delle tensioni politiche e sociali che da decenni minano la stabilità del paese. E non solo bellezze naturali, è anche da sempre una terra sottoposta allo sfruttamento minerario, per la maggior parte ad opera di multinazionali straniere. Si trova di tutto nel paese africano! Il sottosuolo del paese è ricchissimo di materie prime come rame, cobalto, coltan, diamanti, oro, zinco, uranio, stagno, argento, carbone, manganese, tungsteno, cadmio, petrolio e legno. Molte di queste risorse grezze sono concesse alla Cina per più del 50%.
Politicamente il Congo raggiunge l’indipendenza dal Belgio nel 1960, e da allora fu flagellata da conflitti tra i più sanguinosi dopo la seconda guerra mondiale. In particolare, la parte orientale del paese – soprattutto la regione del Kivu – è rimasta una delle zone più instabili in assoluto, avendo vissuto da vicino il genocidio ruandese ed avendo subito letteralmente l’invasione da parte dell’etnia Tutsi nel 1996.
Persino nel 2020, conflitti e insicurezza hanno continuato a caratterizzare la parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. Infatti, mentre la pandemia ha ridotto al 34% i fondi umanitari disponibili, la guerra è continuata, procurando circa 5,5 milioni di sfollati in tutto il paese. Dalla fine del 2019, c’è stato anche un forte aumento di vittime civili e altre forme di violenza ad opera di gruppi armati. Pur in diminuzione, nel 2019 nel solo Kivu esistevano circa 130 gruppi armati, ma si registra che di nuovi ne stanno emergendo ogni mese e il loro dispiegamento è in continua evoluzione.
Nella Repubblica democratica del Congo quattro gruppi armati dominano il conflitto
Si può dire che al di là della frammentazione, quattro gruppi armati dominano il conflitto: le Forze Democratiche Alleate (ADF), le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), l’Alleanza dei Patrioti per un Congo Libero e Sovrano (APCLS) e l‘NDC-R che, così come l’esercito nazionale, si sono resi responsabili di oltre un terzo degli incidenti ed hanno procurato almeno la metà delle vittime civili.
Le caratteristiche persistenti dei conflitti, al netto di nuove cause o fattori scatenanti, sono guidate dalla necessità dei gruppi armati di sopravvivere sfruttando le risorse naturali, in particolare i pozzi petroliferi, e di lottare per mantenere il controllo del proprio territorio.
L’attuale presidente Tshisekedi, sinora, ha prestato poca attenzione ad est del paese e i disaccordi tra lui e il suo alleato, l’ex presidente Kabila, nel 2019 e nel 2020, ne hanno ostacolato qualsiasi impulso volto a portare avanti le necessarie riforme nel campo della sicurezza, al fine di sviluppare mezzi di sussistenza alternativi a beneficio delle migliaia di combattenti nel Congo orientale attuando un opportuno programma di smobilitazione per contrastare gli episodi di violenza.
A dire il vero c’è stato anche un isolato, ma limitato, intervento straniero per sostenere le riforme del settore sicurezza; è il caso dei rangers del Parco Nazionale di Virunga, una compagine ben attrezzata e addestrata all’estero che ha contribuito a proteggere la flora e la fauna della regione. Contestualmente i posti di lavoro generati dall’attività del parco hanno contribuito al reinserimento sociale di centinaia di ex combattenti.
Allo stesso tempo, la missione Monusco per il mantenimento della pace da parte dell’ONU, è stata ridimensionata, mentre la resa di dozzine di gruppi armati negli ultimi due anni è clamorosamente fallita.
Solo recentemente la questione ha vissuto una nuova accelerazione
Infatti, sabato 13 febbraio a Kigali, i principali funzionari della sicurezza del Ruanda e della Repubblica Democratica del Congo hanno avviato una serie di incontri bilaterali – un altro si era tenuto a Kinshasa il mese scorso – per discutere le linee d’azione con cui affrontare le comuni minacce alla sicurezza. Nella due giorni di incontri, la delegazione ruandese guidata dal generale Jean-Bosco Kazura, capo di stato maggiore della difesa (CDS), e la delegazione congolese guidata da Francois Beya, consigliere per la sicurezza del presidente Tshisekedi, hanno condotto una riunione di follow-up per rivedere lo stato della situazione della sicurezza per quanto riguarda i gruppi armati nella regione al fine di sviluppare un quadro costruttivo su come trattare con loro. I due leader hanno dato alla questione della sicurezza regionale un’importanza rilevante perché senza sicurezza non ci può mai essere sviluppo sostenibile. Inoltre, i due leader sostengono che “… l’attuale quadro bilaterale è una sfida per gli stranieri, in particolare per l’Occidente, che sono contrari alla collaborazione tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo …”, “… Siamo venuti qui per dire loro che siamo un tutt’uno e che non vogliamo più conflitti tra noi …”, ha affermato Beya.
Dunque, questo era il contesto in cui si muoveva il corpo diplomatico italiano, contesto che non poteva e non doveva essere sottovalutato. L’eccesso di sicurezza è uno dei pregiudizi cognitivi più potenti perché è così onnipresente che ci induce a formulare giudizi e decisioni importanti senza un ragionevole grado di considerazione.
L’ambasciatore italiano è il secondo diplomatico straniero ad essere stato ucciso nella Repubblica Democratica del Congo
L’Ambasciatore italiano è il secondo diplomatico straniero ad essere stato ucciso nella Repubblica Democratica del Congo dopo quello francese, Philippe Bernard, avvenuto a Kinshasa nel 1997 durante le rivolte nella capitale.
Proviamo ora a dettare una sintesi chiara delle tappe che hanno portato all’uccisione del nostro ambasciatore, Luca Attanasio, e della sua scorta, il carabiniere Vincenzo Iacovacci, avvenuta nel territorio del Nyiragongo, a nord di Goma, e intentarne una plausibile e ipotetica spiegazione.
Secondo una dichiarazione resa dal portavoce del governo nazionale della RDC, l’ambasciatore Luca Attanasio sarebbe arrivato a Goma venerdì 19 febbraio 2021. Lunedì 22 febbraio alle 09:27, un convoglio di due veicoli con sette persone a bordo, facente parte del programma alimentare mondiale, è partito da Goma in direzione del comune di Kiwanja, nel territorio di Rutshuru, per visitare una delle scuole affiliate al programma. La distanza da percorrere è calcolata da google maps in 73,2 km e percorribile in circa 2h e 24m. L’ambasciatore viaggiava nel secondo veicolo insieme alla sua scorta. Il convoglio sarebbe stato attaccato a 15 km a nord di Goma, presumibilmente nella zona di Kibati. L’imboscata è stata condotta intorno alle 10:00 da almeno sei uomini armati di machete e fucili d’assalto kalashnikov.
Quello che si racconta sulla dinamica dell’assalto
Si racconta che gli aggressori abbiano bloccato la strada e costretto le sette persone del convoglio a scendere dai loro veicoli, sparando una serie di colpi d’avvertimento prima di portare gli occupanti del convoglio nella boscaglia. L’autista Moustapha Milambo, morto con una ferita al collo, è stato ucciso per costringere gli altri a lasciare la strada ed addentrarsi nel Parco Nazionale di Virunga. Pare che gli spari abbiano allertato i soldati dell’esercito regolare congolese e i rangers del parco che si sono poi portati verso il luogo dell’attentato. Il gruppo degli aggressori è stato intercettato dai rangers del parco 8 km più a nord rispetto al luogo dell’attacco, in prossimità di tre noti tralicci vicino a Buhumba (23 km a nord di Goma). È qui che il gruppo armato ha sparato a bruciapelo, prima al carabiniere e poi all’ambasciatore, mentre le altre quattro persone, ferite, sono state salvate dai rangers. Ma dall’autopsia eseguita in Italia è emerso che i connazionali sarebbero morti durante un conflitto a fuoco. Non si tratterebbe, quindi, di una esecuzione.
L’ambasciatore è stato trasportato all’ospedale di Goma in condizioni critiche dove è poi deceduto. Le autorità hanno riconosciuto ad un gruppo ribelle hutu, noto come Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), la paternità dell’attentato. Secondo i testimoni, gli aggressori hanno parlato in kinyarwanda, l’idioma del Ruanda, tuttavia pare che le FDLR non siano gli unici a parlare quella lingua in quanto usata anche da altri gruppi armati come Nyatura o l’ex M23 che compiono le loro scorribande in questa precisa area della regione. Da queste parti le imboscate, rapine, stupri e rapimenti sono all’ordine del giorno e pare che questa sia la spiegazione più accreditata piuttosto che un attacco deliberato alla persona dell’ambasciatore ritenuta da altre fonti.
L’attacco è avvenuto su una strada che era stata precedentemente autorizzata per viaggiare senza scorta della Monusco, in quanto erroneamente era stato valutato che non ci fossero ragioni sufficienti che presumessero il verificarsi di un attacco in questa zona. Da un confronto con i dati registrati dall’intelligence era però emerso che a nord di Goma si erano verificati recentemente numerosi casi di incidenti simili e ciò farebbe invece presupporre che la minaccia persistesse ancora nell’area.
Chi ha sbagliato dunque? È stato solamente un tragico errore di valutazione della minaccia, tale per cui non fu predisposta la scorta prevista lungo gli spostamenti attraverso questa arteria stradale? Domande che rimangono in attesa di una risposta che i familiari delle vittime giustamente reclamano.
E mentre le salme dei nostri connazionali rientravano in Patria, un gruppo di investigatori del Ros si è recato nella Repubblica Democratica del Congo per ricostruirne l’accaduto ed indagare sulle possibili cause del tragico attentato.