Abu Ivanka Al Ameriki, il padre di Ivanka l’americano, ultimo nato tra gli alias del presidente Usa Donald Trump. Il soprannome pare calzare a pennello per descrivere i danni che la neonata amministrazione americana ha cagionato con il suo esordio in politica estera a suon di missili Tomahawk sulla disgraziata Siria.
Ai sostenitori del Daesh non è parso vero di aver trovato in Donald Trump l’uomo capace di ridare fiducia e forza a un Califfato che sembrava sulla via di un inesorabile fine.
Con una sola mossa il presidente Usa è riuscito nell’impresa epica di inimicarsi l’ex amico Vladimir Putin, colpire una base aerea siriana con un’approssimazione degna di una comica, mettere a disagio l’intera Europa con un atteggiamento di intromissione in affari interni siriani che, al di là delle indagini in corso di svolgimento sul bombardamento con armi chimiche di Idlib, stava agendo in piena collaborazione con Russia e, addirittura l’Iran, per distruggere l’Isis e, successivamente, chiedere le dimissioni di Bashar Al Assad.
E’ inutile nasconderlo, Al Baghdadi e soci hanno gioito per l’iniziativa americana che ha loro permesso di non essere più l’obiettivo primario per la coalizione, per lo meno da parte di Russia e Iran, ma di rappresentare un problema secondario, soprattutto sul piano politico.
Stoccolma, Oslo e l’Egitto, obiettivo degli ultimi attentati, rappresentano solo l’inizio della controffensiva del Califfato contro Paesi membri della coalizione o, comunque accusati a vario titolo di miscredenza o di accoglienza negata.
Come sempre, a pagare le conseguenze della sbadataggine americana, saranno gli europei, chiusi tra due fuochi e, soprattutto, i Paesi membri della Nato che non nascondono le loro preoccupazioni sullo scoppio di nuovi conflitti, vedasi Corea del Nord, Iran e la stessa Russia, e sul dovere di parteciparvi poiché alleati degli Usa.
Una situazione in divenire che lascia sbalorditi anche i più quotati analisti per i quali l’atteggiamento arrogante di Trump, dopo le promesse post elettorali di volersi impegnare più sulla politica interna statunitense che su una visione internazionale della sua politica, ha invece imboccato la strada peggiore, con decisioni per le quali non si può fornire una spiegazione adeguata e plausibile.
Quel che è certo è che in futuro la Siria potrebbe continuare a essere, suo malgrado, territorio di guerra per le potenze occidentali, per le quali l’obiettivo Isis non è più emergenza ma normalità, atteggiamento che non farà altro che rinvigorire il Califfato e provocare nuove stragi proprio in territorio europeo.
La conclamata presenza di cellule jihadiste in occidente, unite alla pressione continua dei clandestini, formeranno un mix esplosivo che l’Europa si troverà a dover fronteggiare, sperando di poter contare sull’indubbia professionalità degli psichiatri della Casa Bianca per non doversi guardare le spalle dall’amico-nemico Putin.