La tanto auspicata “riconciliazione palestinese”, intentata dall’Autorità nazionale palestinese e sostenuta da al-Fath, sta attraversando un periodo di profonda crisi in ragione dell’estrema riluttanza di Hamas di privarsi dei propri armamenti, come richiesto dagli accordi raggiunti.
L’insediamento del governo palestinese, guidato da Rami Hamdallah, non ha avuto luogo e ai mediatori egiziani le parti hanno richiesto di posticipare ulteriormente il termine per l’attuazione degli accordi sottoscritti a Il Cairo. Ma proprio i mediatori di Al Sisi hanno sottolineato che la richiesta di disarmo di Hamas è una mera chimera propendendo per posticipare la consegna delle armi successivamente all’effettivo raggiungimento di un accordo di pace con Israele.
Nella settimana in corso, Khalil Alhiya, uno dei leader di Hamas, ha sottolineato l’intenzione di non aderire alla richiesta di disarmo, minacciando, inoltre, la ripresa degli attacchi contro Israele. Il vice-leader di Hamas a Gaza ha inoltre affermato che le armi oggetto della richiesta di consegna stanno inviate in Giudea Samaria per combattere contro gli israeliani.
Quasi in contemporanea con le dichiarazioni di Alhiya, un altro leader di Hamas, Salah al-Bardawil, durante una conferenza stampa, ha dichiarato che la cooperazione con Hezbollah si è di fatto rinforzata, avendo appianato le tensioni dovute all’intervento della fazione sciita in Siria a fianco delle truppe di Bashar al-Assad in contemporanea alla presa di posizione di Hamas in favore dell’esercito libero siriano, diretta emanazione dei Fratelli Musulmani.
Nel 2013, infatti, a seguito di questa scelta di Hamas, Hezbollah ridusse notevolmente il suo apporto economico in favore della fazione sunnita, riattivando il flusso dei finanziamenti solo negli ultimi mesi dell’anno scorso. Durante il suo intervento, al-Bardawil, ha evidenziato che la richiesta di disarmo di Hamas, inoltrata per facilitare la riconciliazione con Fatah, non è mai stata messa in atto. A conferma di quanto dichiarato dall’esponente di Hamas, Hassan Nasrallah, l’incontrastato leader di Hezbollah, ha annunciato l’invio alla fazione a Gaza, di un’ingente partita di razzi anticarro Komet, di fabbricazione russa, in funzione anti-israeliana.
Proprio Israele sarà, quindi, costretto a guardarsi da due diversi fronti. Il primo formato da Hamas e le milizie alleate nella Striscia di Gaza, il secondo da Hezbollah e le Iranian Revolutionary Guard Corps in relazione al fronte a nord dello stato ebraico. Al riguardo, il ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, in un discorso tenuto nel mese di ottobre, sottolineò che “per Israele non esiste più un solo fronte di guerra. E questo rappresenta l’assunto iniziale sulla base del quale stiamo preparando i nostri soldati”.
E mentre Gerusalemme si prepara ad affrontare l’ennesimo conflitto paventato da più fonti, le smanie bellicistiche di parte sciita fanno segnalare l’apertura di un nuovo capitolo da parte dell’Iran nei confronti dell’Occidente. Il generale Hossein Salami, vicecapo delle Guardie rivoluzionarie iraniane, ha infatti affermato che, se l’Europa seguiterà a sostenere la politica degli Stati Uniti nei confronti di Teheran, divenendo di fatto una seria minaccia per l’Iran, i Pasdaran si vedranno costretti ad aumentare la portata dei loro missili a 2.000 chilometri, rendendoli idonei a essere lanciati sul territorio del vecchio Continente. Una minaccia abbastanza vacua, tenuto conto delle condizioni di estrema instabilità, anche economica, e del pericolo di nuove e più stringenti sanzioni che potrebbero colpire lo stato degli Ayatollah.