“Lancio un appello a tutti i politici italiani, dal M5s alla Lega e Forza Italia, per richiedere a Putin il rilascio dei prigionieri ucraini”. Sono le parole di Yevhen Perelygin, ambasciatore dell’Ucraina in Italia, che durante l’intervista con Ofcs.report è tornato sulla questione dei prigionieri.
Qual è la situazione oggi? L’ attenzione del governo italiano è molto alta, ad esempio sono state chieste rassicurazioni al riguardo del prigioniero Oleg Sentsov.
“Al momento ci sono 124 prigionieri politici ucraini, alcuni nell’annessa Crimea, altri in diverse prigioni della Federazione Russa. Il caso Sentsov è il più brutale essendo non un militare ma un regista, a cui sono stati dati venti anni di carcere violandone il diritto umano e, soprattutto per la modalità giudiziaria utilizzata. Sentsov era un cittadino ucraino, quando nel 2014 la Russia ha annesso la Crimea, ne ha trasformato la cittadinanza da ucraina in russa, imposta contro la sua volontà, e il tribunale lo ha giudicato come cittadino russo irrogando, appunto, venti anni di reclusione. Insieme alla storia di Sentsov ce ne sono tante tuttavia. Parlo spesso con rappresentati, istituzionali e non, della comunità italiana cercando di sensibilizzare la questione dei prigionieri politici ucraini in Russia. Tutti dovremmo combattere per questo tema soprattutto a livello umanitario, non solo a livello politico. Aspettiamo tuttavia quest’anno una risoluzione adottabile dall’Assemblea generale (delle Nazioni Unite, ndr) sulla violazione dei diritti umani in Crimea. Siamo certi di una risoluzione dell’Onu, strumento più autorevole, anche se la Russia potrebbe non permettere una missione umanitaria in Crimea. Per questo farò appello appena ne avrò l’opportunità, ai politici qui in Italia, di essere sensibili a questo tema, di convincere Putin a rilasciare i nostri prigionieri”.
Spostiamoci sul fronte Donbass. Qual è la situazione attuale?
“Due settimane fa con alcuni colleghi ambasciatori abbiamo visitato la zona, sono stato proprio a 4 chilometri dalla linea di separazione, abbiamo visitato la zona grigia dove non è possibile muoversi. Ho parlato con militari e con civili, la mia impressione è stata quella di una quotidianità pesante e grave. Ci sono, ad esempio, impianti industriali sotto attacco, la gente non esce di casa, oramai giovani e anziani sono barricati in casa, il sentimento della guerra è in ogni parte della città. Anche prendere un caffè è qualcosa di difficile e viene vissuto con uno stato d’animo angoscioso. Eppure la gente continua a vivere, tante palazzine con appartamenti di nove, dieci piani sono vuote perché la gente li ha abbandonati cercando altrove più sicurezza. Passiamo alla situazione militare, ogni giorno abbiamo più di 30/35 spari di artiglieria, non solo nella zona militare ma anche in quelle zone dove ci sono le aziende statali che garantiscono il normale svolgimento della vita quotidiana. Qualche settimana fa, ad esempio, gli spari hanno danneggiato un impianto di depurazione d’acqua. Il cessate il fuoco non sempre viene rispettato dalla parte occupante, abbiamo chiesto anche all’Osce di intervenire affinchè separatisti e mercenari lo rispettino per permettere di riparare gli impianti danneggiati”.
E cosa spinge un cittadino italiano ad andare a combattere nel Donbass, denaro?
“Non sempre. Ci sono molti combattenti che lo fanno per ideologia. Sono cresciuti con la filosofia di liberare il mondo, senza sistema e governo, anarchici, estremisti di sinistra. Ci sono tanti mercenari poi che lo fanno per denaro, per loro è più facile che non studiare, non lavorare ma ottenere denaro uccidendo. L’Italia dovrebbe, secondo il mio parere, favorire il rientro di questi combattenti e arrestarli. Cosa che è riuscita a fare la Spagna. Infatti, nel futuro, il problema dei mercenari sarà un “problema” di competenza dei Paesi da cui essi provengono”.
Nei giorni scorsi il presidente Poroshenko ha firmato il decreto con il quale mette fine al Trattato di amicizia con la Russia del 1997 e entrato in vigore nel 1999. Un atto già anticipato lo scorso 28 agosto, quando il Presidente aveva dato ordine al ministero degli Esteri di preparare i relativi documenti per stracciare il Trattato. Il motivo risiede nell’annessione della Crimea?
“L’accordo di amicizia prevede il riconoscimento delle frontiere russe e di quelle ucraine. In particolare in quell’accordo la Russia riconosce la Crimea come parte dell’Ucraina. Questo accordo deve essere rinnovato circa ogni dieci anni e sei mesi, ma prima della scadenza uno dei due Paesi può comunicare il mancato rinnovo. Con l’ annessione della Crimea molti partiti ucraini hanno sollecitato il Presidente di non rinnovarlo, stante l’inutilità. L’annessione della Crimea ha provocato anche un danno economico all’Ucraina, come ad esempio il pesce del Mar Nero che viene venduto dalla Russia. Quest’ultima, infatti, ha bloccato anche il trasporto marittimo. In questi ultimi quattro anni, più volte abbiamo ribadito di voler tornare alla situazione di pace prevista nel trattato, ma nulla è stato fatto, per cui il presidente ha firmato il decreto che dovrebbe essere approvato nei prossimi giorni dal Parlamento”.
Potrebbe fornire un quadro futuro dell’Ucraina sulle prospettive economiche, geopolitiche e di sicurezza e difesa?
“Brevemente posso certamente dire che le prospettive ambiscono ad una Ucraina europea e democratica, in accordo con il piano di sviluppo in associazione con l’Unione Europea, un accordo di più pagine che prevede un piano di azione concreto: quali nuove leggi approvare, che riforme fare come ad esempio quella giudiziaria, sull ‘energia, quella del settore agricolo, tutto questo dovrà avvenire nei prossimi dieci anni. Una volta approvate, le riforme cambieranno l’Ucraina, portandola ad essere alla pari di paesi come ad esempio l’Italia. Lavoriamo dunque costantemente con nostri partner, come la Commissione europea, il fondo monetario internazionale, la banca mondiale e non solo i paesi europei ma anche gli Stati uniti e il Canada. Non sappiamo che tipo di unione europea ci sarà nel futuro ma sono sicuro che l’Ucraina ne sarà parte come membro della famiglia europea”.
Ci sono accordi di cooperazione o scambi di esperienza con altri paesi in materia di lotta al terrorismo, sicurezza e difesa?
“Politicamente stiamo lavorando con la Nato seguendo un piano annuale concernente la riforma del sistema della difesa e ambendo ad un avvicinamento allo standard Nato. Ci sono accordi di cooperazione con vari paesi. Ad oggi posso dire che i partner più importanti secondo il volume di cooperazione e assistenza, quelli maggiormente coinvolti, sono gli Usa e il Canada, mentre i rapporti più forti concernenti la difesa sono quelli con la Gran Bretagna, i Paesi Baltici, la Polonia, e anche l’Italia. Da quest’ultima riceviamo molta assistenza sulla formazione. Ci sono poi paesi che ci assistono nel settore terrestre, altri nel settore marino, altri in quello aereo, da altri importiamo armi. Occorre capire che fino a cinque, sei anni fa la nostra industria militare era orientata agli standard dell’esercito dell’ex Urss, mentre attualmente stiamo trasformando la nostra industria della difesa in modo da essere compatibile con quella dell’organizzazione atlantica, anche perché sono certo un giorno saremo membri della Nato”.