Ambasciatore Ahmad A.H. Bamarni, il governo iracheno è preoccupato del tentato golpe militare in Turchia?
“Sì, lo siamo perché è accaduto un evento inusuale che interessa anche il nostro paese. Ci troviamo di fronte a un fenomeno interno alla Turchia e la storia insegna che simili colpi di Stato non risolvono i problemi ma colpiscono la democrazia e lo sviluppo della società. Quindi il suo fallimento rappresenta un’opportunità per implementare la democrazia in Turchia. Il popolo turco ha dimostrato che non esistono le condizioni per un golpe militare, perché la società è così lontana da queste dinamiche. Non dimentichiamoci che si è trattato del quarto episodio dalla fondazione dello Stato turco, di conseguenza i cittadini sanno a cosa sarebbero andati incontro. Naturalmente mi auguro che la situazione possa migliorare per l’interesse di tutti”.
Con il rafforzarsi del potere di Erdogan c’è un rischio che possa incrementare il fenomeno del radicalismo islamico?
“Il progetto dei militari non era in grado di affrontare e di risolvere certe problematiche. Ma non credo che il radicalismo possa aumentare, perché è già presente nella regione, come dimostrato dalle attività di Daesh e del fronte di al-Nusra. Noi dobbiamo combattere in sinergia queste organizzazioni. É necessaria, quindi, una cooperazione interna ai paesi mediorientali, ma anche con quelli internazionali, perché questi terroristi incitano alla guerra di religione. Un danno per l’umanità, per il Medio Oriente, e come abbiamo visto, purtroppo, anche per l’Europa”.
A che punto si trovano i lavori della diga di Mosul, che sappiamo necessita di interventi importanti per la natura fragile delle sue fondamenta, e qual è l’apporto dato dai militari italiani nel controllo e nella sicurezza dell’infrastruttura?
“Il Governo ha un accordo con la Trevi per verificare quali siano le condizioni della diga di Mosul e delle sue fondamenta. Ciò avviene perché l’infrastruttura è stata controllata per un periodo dai jihadisti. Sin dall’inizio dell’occupazione abbiamo continuato a pompare acqua dalle fondamenta al fine di evitarne l’erosione, ma poi non è stato più possibile. Questo è stato il vero problema. I militari italiani sono lì – come ricordava – solo per la protezione e la sicurezza della diga. Le nostre forze si stanno preparando per liberare interamente Mosul dalla presenza del Daesh e sono sicuro che ciò avverrà entro la fine dell’anno”.
Come giudica i rapporti e la cooperazione strategica tra Italia e Iraq anche rispetto alla missione archeologica ad Abu Tbeirah, nel sud del paese, presentata lo scorso 20 luglio e guidata da due docenti dell’Università di Roma La Sapienza?
“Le relazioni tra i nostri due paesi sono tra le migliori in Europa. Sono allo stesso livello di Francia, Germania e Inghilterra. Siamo molto soddisfatti della nostra cooperazione in molti campi: negli studi archeologici e culturali, ma anche nell’agricoltura e nell’energia così come sul piano militare e della sicurezza. Per esempio i carabinieri hanno fatto un lavoro straordinario nell’addestrare la nostra polizia; in seguito alla liberazione delle città dall’Isis abbiamo avuto bisogno di forze pronte a garantire e a mantenere da subito ordine e sicurezza. Un apporto fondamentale, se pensate che negli ultimi due mesi sono state riconquistate in Iraq circa 10 città, sia medie che grandi”.
Ambasciatore è possibile fare un bilancio dei risultati delle attività svolte nel contrasto al Daesh nel territorio iracheno?
“Io penso che i miliziani stiano arretrando sempre di più. Negli ultimi 10 mesi hanno perso fra il 65% e il 70% delle aree che erano sotto il loro controllo. Ovunque andiamo con i nostri militari, peshmerga o forze di sicurezza, vediamo che o se ne vanno senza combattere oppure ingaggiano solo scontri blandi. Recentemente abbiamo ripreso una delle più grandi basi militari irachene, ad Al Qayyarah , 70 chilometri a sud da Mosul, quasi senza sparare un colpo. I jihadisti sono letteralmente scappati. Questo, purtroppo, è anche il motivo per cui compiono così tanti attentati terroristici e crimini contro la popolazione locale, che in alcuni casi si trova ancora sotto il loro controllo e la loro pressione”.