Un’occasione unica di rendere il paese più governabile. Così il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, annunciava sei mesi fa il referendum per bocciare o approvare in via definitiva la riforma della Costituzione. Eppure, a una settimana dal voto l’esito della consultazione elettorale è ancora tutto da scrivere. Tra favorevoli e contrari è scontro aperto ma è soprattutto l’esercito degli indecisi a rappresentare l’ultimo territorio di caccia grossa per i sostenitori del ‘Sì’, che di certo non si aspettavano un finale di campagna con il ‘No’ avanti in quasi tutti i sondaggi e il premier Matteo Renzi che, in caso di sconfitta, si dice pronto a rifiutare un governo di scopo ma ha ancora dubbi sulle sue dimissioni.
Europa e Stati Uniti ci osservano da lontano. I mercati non sono da meno. Sui quotidiani internazionali l’attenzione su Roma è alta. “Dopo Trump e Brexit tutti gli occhi sono puntati sul referendum italiano del 4 dicembre”, titolava a metà novembre il Wall Street Journal di New York. Ma il problema maggiore, secondo il Wsj, è che i policy-makers europei considerano ormai da mesi la situazione italiana “come il più grande rischio per la stabilità finanziaria della zona euro e, privatamente, non hanno esitato a confermarlo”.
In aggiunta, il Wall Street Journal precisa che “se la ripresa dell’Eurozona continuerà e l’inflazione rientrerà nel target stabilito, per la Bce diverrà più difficile giustificare il proseguimento del quantitative easing”, ossia l’acquisto dei titoli in scadenza del debito pubblico italiano. L’unica possibilità, a questo punto, per l’istituto centrale europeo, sarebbe continuare a comperare titoli di stato solo grazie ad un chiaro consenso politico”. E in tal caso “arriverebbe quello che l’Eurozona ha da sempre cercato di evitare: Roma – chiosa il Wsj – sarebbe costretta a gettarsi alla mercè di Berlino”.
E l’Europa? “Matteo Renzi combatte per salvare il suo referendum”, titolava la scorsa settimana il quotidiano francese Le Figaro mentre per Le Monde, in un articolo di lunedì, il premier italiano è ormai “solo contro tutti” nella sua battaglia per il Sì alla consultazione elettorale di dicembre. “Dopo i discorsi alla coesione, gli inviti a negoziare e gli appelli alla ragione – scrive il quotidiano di Parigi – Renzi torna alle origini del suo successo, si riappropria della sua grinta, della volontà di andare contro tutti i tabù” e “non si arrenderà senza aver combattuto fino alla fine”.
Tuttavia, l’iniziale ottimismo di Le Monde si infrange poche righe più in basso, non appena il quotidiano francese ricorda che qualche mese fa il primo ministro italiano, seppur obtorto collo, “aveva tentato di giungere a una situazione di compromesso con le altre forze politiche” del paese – il centro destra e la minoranza del Pd – senza però ottenere i risultati sperati. “Renzi – continua Le Monde – aveva anche tentato di sfruttare a proprio vantaggio la visita alla Casa Bianca di metà ottobre”. In quell’occasione, infatti, il presidente uscente Barack Obama “aveva molto apprezzato l’accuratezza della sua politica economica e aveva condiviso la sua offensiva contro l’austerità di bilancio proposta da Bruxelles”. In cambio, il premier italiano “aveva pubblicamente espresso il suo sostegno a Hillary Clinton”, precisa il quotidiano di Parigi. Ma la vittoria di Donald Trump ha rovinato tutto.
Fortemente critico in merito all’esito della consultazione del prossimo 4 dicembre è il quotidiano britannico The Guardian che, in un articolo del mese scorso scrive: “Matteo Renzi, un tempo considerato la grande speranza riformista dell’Italia, rischia di diventare la prossima vittima politica di un risultato inatteso a un referendum”. Un po’ come è accaduto, in effetti, al primo ministro britannico David Cameron, dimessosi dopo la vittoria di Brexit nella consultazione referendaria dello scorso 23 giugno.
Il Guardian, poi, torna sull’errore forse più evidente compiuto da Renzi riguardo al voto del 4 dicembre: l’aver spostato il contenuto del referendum dal merito della riforma al giudizio su sé stesso. “Il voto di dicembre – si legge sul quotidiano di Londra – non è più solo un voto sulla questione in oggetto ma è diventato un vero e proprio plebiscito sullo status quo e sull’economia dell’Italia, oltre che sulla capacità del primo ministro di riuscire nel cambiamento politico che aveva promesso non appena arrivato a palazzo Chigi nel 2014”.
Poco incoraggiante è anche lo scenario dipinto lunedì dal condirettore del britannico Financial Times Wolfgang Münchau, secondo cui in Italia una vittoria del No darebbe inizio a una “crisi della zona euro” tale da portare il nostro paese di fronte a “una sequenza di eventi che metterebbe in dubbio l’appartenenza italiana nella moneta unica”. Per Münchau il “5 dicembre l’Europa potrebbe svegliarsi con l’immediata minaccia della disintegrazione”. E le cause sarebbero da ritrovare anche nei problemi strutturali dell’economia italiana: “da quando l’Italia nel 1999 è entrata nell’euro – precisa il condirettore del FT – la sua produttività totale è stata di circa il 5 per cento, mentre Germania e Francia hanno superato il 10 per cento”.
Per fortuna, a guardare il bicchiere mezzo pieno ci pensa la Germania. Agli inizi di novembre, infatti, giunge l’endorsement dell’Handelsblatt, il principale quotidiano economico tedesco. “Il referendum sulla costituzione può rappresentare sì una trappola per il premier Renzi” – si legge sul quotidiano di Berlino – ma la sua presenza, tuttavia” è essenziale per la stabilità dell’Italia e per la tenuta dell’Europa”. “Bruxelles e Berlino – aggiunge l’Handelsblatt – sanno di aver bisogno di un’Italia stabile per tenere assieme l’Europa”. Del resto, “Renzi e il suo governo non potevano in così breve tempo compensare le negligenze strutturali di tanti anni”, conclude il quotidiano tedesco. “Se fallisce Renzi fallisce l’Italia. E se fallisce l’Italia fallisce l’Europa. E dopo Brexit nessuno vuole rischiare nuovi scossoni”.
Al di là delle possibili conseguenze nell’Eurozona, quel che è certo, è che da mesi, in Italia, il dibattito sulla riforma è stato appesantito da forzature e strumentalizzazioni politiche che inevitabilmente hanno compromesso la natura stessa del quesito referendario. La divulgazione concreta dei contenuti della riforma ha lasciato il passo a dibattiti politici e scontri tra opposte fazioni, più impegnati a far valere sul campo la posizione del partito di appartenenza, invece che una valutazione oggettiva dell’argomento. A noi italiani, dunque, non resta che decidere con coscienza e conoscenza. Senza chiedersi fino a che punto l’economia riuscirà a condizionare la nostra democrazia e lo spread ad avere la meglio sulla sovranità popolare. L’Einaudi del conoscere per deliberare apprezzerebbe.