L’Italia si conferma fanalino di coda quanto alla percezione di giustizia sociale in Europa. A stilare l’impietosa classifica è l’istituto Bertelsmann Stiftung che ha recentemente pubblicato il terzo rapporto annuale sulla giustizia sociale in Europa (Social Justice in the EU – Index Report 2016), curato da Daniel Schraad-Tischler e Christof Schiller. Lo studio utilizza come parametri per la misurazione del Social Justice Index, un indice composto da sei dimensioni che toccano appunto il tema della giustizia sociale: prevenzione della povertà, equità nell’istruzione, accesso al mercato del lavoro, coesione sociale e non-discriminazione, salute, giustizia intergenerazionale.
Nel complesso, l’Italia si posiziona al 24esimo posto (su 28), registrando una delle peggiori performance, con un punteggio pari a 4,78. Bollino rosso sulla giustizia intergenerazionale dove il nostro Paese è addirittura al penultimo posto, 23esimi invece in materia di accesso al mondo del lavoro, con un tasso occupazionale tra i peggiori dell’Ue, visto che nel 2015 solo il 56,3% della popolazione in età di lavoro è stata impiegata (solo la Croazia e la Grecia hanno un livello di occupazione inferiore).
La situazione occupazionale delle donne è un po’ migliorata dal 2008, ma rimane ancora molto al di sotto della media europea. Inoltre il lavoro a tempo indeterminato non ha tutelato tutti i lavoratori dal rischio povertà e così il 9,8% degli italiani con un impiego è a rischio. Guardando al mercato del lavoro italiano dal punto di vista dei disoccupati, diventa chiaro quanto deve ancora essere fatto.
Il tasso di disoccupazione complessivo è passato dal 6,8% del 2008 al 12,1% nel 2015. Dall’inizio della crisi i disoccupati di lunga durata hanno visto il loro numero più che raddoppiato (dal 3,1% del 2008 a un picco del 7,9% nel 2014). Allo stesso modo, per i giovani il tasso di disoccupazione è quasi raddoppiato dal 2008. Il 40,3% di disoccupati nella fascia 15-24 anni deve indurre il governo italiano ad attuare delle politiche urgenti su questo fronte. “Senza l’attivazione rapida di un mercato del lavoro efficiente molti di questi giovani rischiano di veder preclusa la possibilità di un lavoro stabile, cosa che comporterà delle conseguenze sociali a lungo termine”, si legge nel Rapporto.
Tuttavia, le recenti riforme sembrano puntare nella giusta direzione, osservano gli esperti. “A partire dal 2014 il governo Renzi si è impegnato concretamente con alcune misure per rendere più facile l’assunzione di giovani, attraverso una revisione sistematica del codice del lavoro volto ad incoraggiare norme per adottare contratti di lavoro più flessibili, ma anche stabili e i dati sui nuovi contratti di lavoro nel 2015 indicano che è stato un successo significativo”.
Sono le debolezze strutturali a minacciare la coesione sociale nel nostro Paese. L’Italia ha un elevato livello di diseguaglianza e, come molti altri paesi dell’Unione europea, è stata testimone di un divario crescente tra le generazioni in questi ultimi anni. La percentuale di bambini e giovani che sono minacciati dalla povertà o dall’esclusione sociale (33,5%), è di gran lunga superiore al 19,9% degli anziani (65 anni o più). A parte le scarse prospettive per i giovani sul mercato del lavoro, l’Italia è demograficamente il Paese più “vecchio” nell’UE e detiene anche uno dei più alti debiti pubblici (132,6% del Pil).
Guardando fuori dalle Alpi il rapporto del 2016 conferma quanto emerso lo scorso anno. La maggior parte dei paesi europei ha registrato un piccolo miglioramento nell’indice di giustizia sociale. A risultare fra i migliori ci sono sempre i paesi scandinavi: Svezia, Finlandia e Danimarca. Segue la Repubblica Ceca, i cui ottimi punteggi nella dimensione della salute e della prevenzione della povertà le hanno permesso di salire di una posizione rispetto all’anno precedente. Alle spalle troviamo l’Olanda, l’Austria e la Germania (con ottime performance nella dimensione dell’accesso al mercato del lavoro).
Gli stati che hanno accusato di più la crisi (Spagna, Portogallo, Grecia, Italia, Irlanda) si trovano nelle posizioni più basse, insieme a Romania, Bulgaria e Ungheria. Nonostante il miglioramento generale, quasi nessun paese dell’Unione Europea è comunque riuscito a tornare ai livelli di benessere e giustizia sociale precedenti la crisi: solo Repubblica Ceca, Germania, Lussemburgo, Regno Unito e Polonia mostrano un piccolo miglioramento rispetto al 2008. In questi stati la crisi economica, peraltro, ha influito poco o nulla sull’andamento della giustizia sociale.
Il rapporto evidenzia inoltre l’aumento dei cosiddetti working poor, ovvero coloro che, pur avendo un lavoro a tempo pieno, sono da considerare a rischio di povertà. A livello europeo, la percentuale di “lavoratori poveri” sul totale degli occupati a tempo pieno è passata dal 7% nel 2009 al 7,8% del 2015. Anche la Germania, che ha ottimi punteggi nella dimensione del mercato del lavoro e ha visto il suo livello di giustizia sociale salire costantemente dal 2008 nonostante la crisi economica globale, è caratterizzata da una consistente percentuale di lavoratori poveri (7,1%).
Altra nota negativa che caratterizza tutti i paesi dell’Unione Europea è la scarsa capacità di gestire le conseguenze della crisi migratoria in corso, sia dal punto di vista delle politiche antidiscriminatorie che da quello dell’integrazione dei rifugiati nel mondo del lavoro. Anche i paesi scandinavi, ai primi tre posti della classifica e tradizionalmente pionieri nel campo delle pari opportunità, non sono riusciti ad attrezzarsi con politiche e servizi capaci di trasformare la crisi migratoria in un’opportunità di crescita economica.
Un altro dato preoccupante riguarda l’accesso al mercato del lavoro dei giovani europei. In primo luogo, colpisce l’entità del fenomeno dei giovani NEET, ragazzi e ragazze tra i 15 e i 29 che non lavorano e non sono impegnati in percorsi di studio o formazione. Questa condizione, sintomo di un problema strutturale nel passaggio dalla formazione al mondo del lavoro, interessa una notevole percentuale di giovani in Europa (17,3%). Tale percentuale è poi elevatissima nei paesi mediterranei, come nel caso dell’Italia – con il tasso più alto – dove la condizione NEET arriva a coinvolgere quasi un terzo dei ragazzi e delle ragazze (31,1%). In secondo luogo, i tassi di disoccupazione relativi a questa fascia di età, toccano cifre ancora più allarmanti: in Spagna e Grecia quasi la metà della popolazione giovanile è disoccupata (rispettivamente 49,8% e 48,3%).
Cosa fare per intraprendere la strada della giustizia sociale? Gli esperti indicano alcune soluzioni, fra cui l’obiettivo primario per l’Europa di contrastare la povertà infantile, aumentare l’accesso all’educazione e al mondo del lavoro e investire sulla scuola.
Le sfide più importanti per la giustizia sociale si giocano sul terreno della giustizia intergenerazionale, con i governi costretti a prendere decisioni fondamentali tra la necessità di ridurre il debito, le politiche del welfare per popolazioni sempre più longeve e l’esigenza imminente di investire sull’ambiente. Una sfida lunga e ambiziosa non più differibile per i governanti.
@PiccininDaniele