Generale Leonardo Tricarico, come presidente della fondazione Icsa e decorato dell’Aeronautica militare, come vede questo intervento aereo degli Usa in Libia?
“Speriamo che la cosa non duri a lungo. Se la variegata umanità combattente libica, colta nel sonno, non dovesse essere stimolata troppo perché le operazioni saranno effettuate con i tempi di un blitz, allora la cosa sarà metabolizzata e ammortizzata. Se accadesse il contrario si risveglierebbero delle sensibilità locali e la conciliazione del paese sarebbe di nuovo lontana, anzi si creerebbero nuovi e diversi equilibri”.
Non è un intervento che causa instabilità, se fatto da un paese lontano dallo scenario Mediterraneo?
“Sono intervenuti gli Usa per espressa volontà di Sarraj. Ci sarebbero di fare considerazioni su questo. In fin dei conti, il governo italiano ha detto che sarebbe intervenuto se lo avessero chiesto gli amici libici. Credo sia successo perché gli Usa sono il paese più capace nel condurre un certo tipo di operazioni: non deve passare dal Parlamento tanto per cominciare. In questo caso si potrebbe ipotizzare che l’amministrazione americana stia ragionando su un chiaro dividendo elettorale da incassare dopo il bizzarro disimpegno di Obama. Un atteggiamento questo che non accontenta larga parte dell’elettorato repubblicano, quello che la pensa come George Bush. La Clinton in questo modo mostra di essere sempre presente e che l’America risolve i problemi. La cosa comunque resta un po’ anomala vista la titubanza a intervenire di Obama. La Libia poi è un paese interessante ma non primario per la Casa Bianca, non c’è rischio per la sicurezza interna statunitense”.
Ci sono analogie con gli eventi del 2011, quando a partire per primi furono i francesi?
“Ci sono delle differenze sostanziali per quanto riguarda lo scenario. In quel caso Parigi, in una maniera scellerata, senza consultarsi con alleati e informare chi di dovere, lanciò i propri velivoli quando ancora si stava approvando la risoluzione Onu. Ancora una volta hanno voluto mostrare la bandiera e vediamo le conseguenze oggi di quell’intervento. In quel caso c’era una risoluzione Onu che legittimava tutti i paesi che avessero voluto farsene carico a far cessare la barbarie di Gheddafi. Oggi un governo legittimo, per quanto fragile, chiede aiuto a un paese per colpire delle resistenze che si sono incrostate”.
Quale è lo scenario che si configura per l’Italia?
“Potremmo, senza colpo ferire, incassare un dividendo. I nostri interessi in Libia sono di due tipi: energia e immigrazione. Se la Libia viene ripulita dal terrorismo, c’è un ostacolo in meno alla conciliazione nel paese. Si potrebbe anzi arrivare al radicamento di un governo forte. Ci dobbiamo augurare che tutto vada a buon fine. Dobbiamo dare agli Stati Uniti tutto l’aiuto che possiamo, in termini di spazi aerei, basi da concedere, informazioni. È bene che questa operazione degli americani, che tolgono ancora una volta le castagne dal fuoco, finisca presto. Dobbiamo augurarci che le cose vadano a buon fine”.
Il capo dell’Fbi recentemente ha parlato del rischio di diaspora terroristica in Siria. Non può succedere anche con la Libia?
“Il rischio diaspora c’è comunque, a prescindere. Condivido l’analisi fatta dall’Fbi. Ma c’è una differenza di scenario con la Siria. In Libia c’è una rete pulviscolare ma diffusa di resistenze al terrorismo islamista. Al Baghdadi aveva un disegno di espansione del Califfato che comprendeva anche la Libia, ma il paese si è rivelato più ostico del previsto per l’Is. Esiste una rete fatta di famiglie, milizie, tribù ed etnie che non tollerano una invasione straniera. Nonostante siano in lotta fra di loro, le fazioni si aggregano e fanno fronte comune contro i jihadisti”.