La Russia ha armi chimiche, sostiene il 46° Presidente Usa Joe Biden. Ma, ne siamo sicuri? Facciamo un passo indietro.
Dall’Iraq
Il primo (a parlarne) fu George W. Bush jr. Allora il mondo si risvegliava da un incubo che, poi, incubo non era perché i gli aerei di linea che avevano colpito le Torri Gemelle ed il Pentagono segnarono, in un solo giorno e con drammatico realismo, il cambiamento di rotta della sicurezza mondiale.
A dieci anni esatti dalla fine della Guerra fredda conoscevamo un nuovo nemico, che aveva osato ciò che i sovietici non avevano mai compiuto: colpire gli Stati Uniti sul loro suolo.
Non uno stato, quindi, ma gruppi che proliferavano all’ombra di stati definiti, allora, “canaglia”. Fra le “canaglie” il regime di Saddam Hussein, che George Bush Sr aveva sconfitto con Desert Storm senza però destituire il leader di Tikrit, forse perché si era reso conto di quanto ingestibile sarebbe stato quell’angolo di mondo inseguito ad un vuoto di potere.
Armi diffuse…
Negli Anni Novanta Saddam aveva il sarin, impiegato contro la popolazione curda ancora oggi perseguitata (e dimenticata). Il presidente iracheno poteva addirittura vantare un parente, Ali Hassan Abd al-Majid al-Tikritieh soprannominato il chimico proprio per le sue particolari doti di ricercatore e sviluppatore di armi chimiche.
Ma un conto è bombardare un popolo senza terra, un altro impiegare quelle bombe in una guerra convenzionale contro le maggiori potenze del mondo.
Non era cosa rara, infatti, che i paesi ex alleati o satelliti dell’Unione Sovietica disponessero di tali dispositivi: negli anni Mosca li aveva riforniti di aerei, garantito loro sostegno finanziario ed economico. E bombe chimiche che, lo ricordiamo, sono state messe al bando solo nel 1997.
… bonifica costosa
Una legge non è però sufficiente a chiudere con il passato, specie se quel passato ha un costo stimato in miliardi di dollari. Per fare un esempio, gli USA smaltirono il 90% delle 2500 tonnellate di gas mostarda del Pueblo Chemical Depot soltanto nel 2013, con una spesa di circa 28 miliardi di dollari. Un prezzo enorme che Washington, forse, poteva permettersi di pagare, ma ostacolo insormontabile per le nazioni del secondo e terzo mondo. Iraq e Siria in testa.
Forse quelle armi chimiche irachene e siriane c’erano davvero, ma erano chiuse nei depositi in “attesa di…” E probabilmente, in Siria deve essere bastato un colpo di cannone per colpire il deposito e far sì che i gas si disperdessero, causando innumerevoli vittime civili e militari, diffondendo altresì l’idea che Damasco li impiegasse contro la sua stessa gente. Non avendo prove certe, però, restiamo nel campo ipotesi.
Vecchia storia
La prima legge sulla proibizione di gas tossici in guerra risale al 1874. Ne seguirono altre: 1899, 1907, 1919 (disposizione del Trattato di Versailles) ed il Protocollo di Ginevra del 1925 non universalmente adottato. Se infatti l’Italia fu duramente condannata per l’impiego del gas mostarda in Etiopia, gli Stati Uniti aderirono al Protocollo solo nel 1975. Le armi chimiche furono stipate ed utilizzate dalle nazioni democratiche per decenni. Nel dicembre ’43, a Bari, una bomba tedesca colpiva l’ anonimo piroscafo alleato Harvey dal quale fuoriuscì una nube tossica che avvelenerà i baresi durante e dopo il conflitto. Nel ’44 l’area del fiume Senio sarà invece intensamente colpita da bombe al napalm per snidare i tedeschi dalle loro postazioni. Una miscela incendiaria, il napalm, che causerà morti e feriti anche in Vietnam, insieme al “collega” agente arancione.
Gas e memoria
Per i Presidenti Usa parlare di gas è, dunque, un modo per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sull’avversario, dimenticando che le bombe (convenzionali o speciali) impiegate in Italia, Vietnam, Serbia, Iraq, Libia sono state altrettanto dolorose e distruttive. Una memoria che si è (volutamente) persa malgrado l’evento più recente si sia verificato appena due lustri fa…
Certo, un paragone fra l’autoritarismo di Putin e le democrazia occidentali manco a farlo. Tuttavia è compito del giornalista, se non esprimere giudizi, valutare fonti e cifre. I bombardamenti su Belgrado causarono 2800 morti civili e, si sa, le vittime innocenti sono innocenti quando dell’Occidente e quando di Russia e Serbia.
Allora erano diversi gli equilibri e Milosevic non era certo Zelensky, ma all’occhio del Cremlino stava avvenendo la stessa cosa oggi contestatagli: violazione di sovranità di un paese per scongiurare un genocidio. In meno di cinque anni, il leader che Bill Clinton aveva definito a Dayton “l’uomo della pace nei Balcani”, diventava un novello Hitler accusato di pulizia etnica, elemento quest’ultimo peraltro piuttosto ricorrente in secoli di storia balcanica. D’altronde, la provincia serba del Kosovo era stata oggetto delle repressioni di Belgrado sin dai tempi di Tito, senza contare quelle già avvenute al termine della guerra mondiale.
Nonostante la verità ufficiale sulla fossa di Racak (elemento chiave dei colloqui di Rambouillet prima e dell’intervento poi) sia stata messa in discussione da più parti, tanto bastò ad innescare la miccia dell’intervento.
Un po’ come nel Donbass: si parla di pulizia etnica della popolazione filo-russa sin dal 2014, ma dati precisi non ne abbiamo né comunque sarebbero sufficienti ad avallare l’attacco del 24 febbraio e la tragedia che ne è seguita.
I media di mezzo mondo, poi, fanno il resto generando confusione su un conflitto che va avanti da 31 giorni: ogni dì pare che i russi siano sul punto di arrendersi, poi in poche ore i bombardamenti sulle città aumentano.
C’è inoltre chi, in buona fede, fa strafalcioni innocui (i “fanti d’artiglieria) ed altri memorabili (“il pilota, ex allieva dell’Aeronautica, espulsa dall’Esercito e andata a combattere con le forze speciali al fronte”). Infine, vi sono notizie che restano in bilico fra realtà e mito, ad esempio che da Terni sarebbero partire armi… Strano, perché qui di armi non se ne producono più dagli Anni Quaranta.
Disinformazione, magari figlia di buona fede e di poca conoscenza, ma pur sempre disinformazione che non possiamo permetterci mai, in pace ed in guerra.