La destituzione della presidente sudcoreana. L’omicidio del fratellastro del dittatore del nord Kim Jong-il. E i test missilistici e nucleari. Il 2017 si appresta a modificare sensibilmente il quadro politico della penisola divisa dal trentottesimo parallelo.
Mentre Seoul si prepara alle elezioni che vedranno, con tutte le probabilità, la vittoria del capo dell’opposizione di centrosinistra, a Pyongyang continua senza sosta l’opera di rafforzamento militare in ottica missilistica e nucleare. Il nucleare, appunto. Una autentica ossessione per la Corea del Nord. Un tema che, inaspettatamente, ha trovato spazio persino nel giallo legato all’omicidio di Kim Jon-nam. La versione fornita Pyongyang, quella cioè di un assassinio ordinato dai servizi segreti americani e sudcoreani per destabilizzare il regime e avviare una guerra nucleare, conferma, ancora una volta, l’irrazionalità totale degli eventi e delle conseguenze che ruotano attorno a Kim Jong-il e al regime comunista, governato sin dalla fine della seconda guerra mondiale dalla famiglia Kim.
Le diplomazie, specialmente dopo l’entrata in carica di Donald Trump, si stanno sempre più convincendo che i rimedi dilatori utilizzati negli anni scorsi non hanno offerto alcun vantaggio se non quello di permettere al regime di rafforzarsi e perseguire, quasi messianicamente, in un’opera criminale di eliminazione sistematica del dissenso, soprattutto se presunto. E il giovane dittatore, a differenza del padre e del nonno, rischia seriamente di raggiungere quegli obiettivi di super-potenza nucleare di fronte alla quale la comunità internazionale dovrà, prima o poi, fare i conti. In realtà, uno dei primi paesi ad aver fatto le spese con l’esuberanza di Kim, è proprio lo storico alleato cinese, sempre più in imbarazzo con le altre potenze per il rapporto privilegiato con Kim. Le notizie della vita in Nord Corea, prima numerosissime, e canalizzate proprio dai cinesi, si fanno, mano a mano, sempre più rare. C’è chi ipotizza, addirittura, che l’omicidio di Kim Jong-nam sia stato commissionato proprio perché il fratellastro del dittatore era sospettato di essere una spia cinese. Pur non potendo conoscere i futuri sviluppi vi è la certezza che, a breve e medio termine, qualche cambiamento sullo scenario tra Corea del Nord e resto del mondo, cristallizzato dagli anni ’50, avverrà.
A Seoul, invece, è tempo di analisi e di scenari futuri. Nei media internazionali l’attenzione, dopo l’impeachment della presidentessa, è tutta per i futuri equilibri politici. Mutamenti, questi, che necessariamente investiranno l’economia, specie dopo gli scandali legati a Samsung, ma che non rischiano di minare, con tutta evidenza, il saldo rapporto filo-statunitense che da anni lega la Corea del Sud a Washington dove il protagonismo di Trump, abilissimo nella tecnica della provocazione, prima o poi è destinato a scontrarsi con gli umori, imprevedibili, di Pyongyang. E con l’interrogativo rappresentato dalla reale soglia di sicurezza di Seoul, primo destinatario probabile di eventuali ritorsioni in chiave anti-Usa. Insomma, comunque la si veda, il “fronte” coreano si presta a diventare uno dei più interessanti per gli osservatori di politica internazionale.