Nel mezzo dell’arroventato clima da campagna elettorale, la scorsa domenica quasi 7.500 persone (secondo la Prefettura di Parigi) sono scese nel primo pomeriggio per le strade della capitale francese, da Place de la Nation a Place de la République, unendosi nella marcia per chiedere giustizia per le vittime delle violences policières e domandare un maggior controllo dell’operato delle forze dell’ordine. Un problema endemico, venuto prepotentemente a galla dopo le presunte violenze sessuali subite da un giovane della banlieue parigina ai primi di febbraio, Théo L., ma già da mesi al centro di un notevole movimento associazionistico di lotta e protesta. Presenti anche degli osservatori di Amnesty International, in vistosa uniforme giallo fosforescente. Intervistati, rispondono di essere lì per vigilare che venga rispettato il diritto dei manifestanti a protestare. Ed anche gli agenti sembrano essere più concilianti del solito, permettendo controlli più blandi ed intervenendo solo quando strettamente necessario.
Appello a manifestare
Questo appello a manifestare parte veramente dal basso nel dicembre 2016, quando poche famiglie vittime di violenza di alcuni agenti di polizia si uniscono per chiedere giustizia. A questo appello a manifestare si sono poi uniti decine di collettivi, associazioni antirazziste, sindacati e perfino alcuni partiti della sinistra francese. Ma a fronte di questo “assalto” al carro della protesta, ed affinché l’intero movimento non venisse “diluito” in un più generale (e meno efficace) discorso sindacale o di logica politica, i familiari delle vittime si sono accordati affinché la parola fosse concessa solamente alle persone a loro vicine. Tra questi la figura di punta del movimento, Amal Bentousi, snocciola uno dopo l’altro nel microfono i nomi dei morti durante un controllo di polizia o in carcere. Suo fratello, Amine, è stato ucciso da un proiettile alla schiena esploso dall’arma di un agente di polizia durante un controllo, che è stato condannato a cinque anni di reclusione all’inizio di marzo. Parla anche Ramata Dieng, sorella di Lamine, morto durante un’operazione di polizia nel 2007: “Noi vogliamo solo che la polizia non sia al di sopra della legge. Vogliamo che gli omicidi vengano puniti come prevede il codice penale”, urla nel microfono. Le testimonianze si susseguono, mentre il corteo si muove verso quello che è il cuore della Parigi più rivoluzionaria, Place de la République. “Mio fratello è stato ucciso da 26 colpi di pistola. La legge l’ha ritenuta legittima difesa” grida un uomo negli altoparlanti, mentre un “Oh” corale si solleva dalla massa di gente.
La polizia rimane a “distanza di sicurezza” dal corteo
Anche la polizia si rende probabilmente conto della potenziale esplosività della situazione e, forse anche per la presenza degli osservatori di Amnesty International, si tiene a distanza maggiore dal corteo rispetto ad altre manifestazioni, pur controllandone attentamente il comportamento. Strategia vincente vista l’esiguità degli scontri, ridotti a poche scaramucce anche e soprattutto grazie alla misurata reazione delle forze dell’ordine, intervenute solo in casi di effettiva necessità e solo per allontanare i pochi incappucciati violenti, evitando di entrare a gamba tesa in una protesta che avrebbe rischiato di radicalizzarsi ancora di più, vista la delicatezza del tema e la convinzione dei presenti.
Tuttavia i lanci di lacrimogeni ci sono, come anche i danni alle proprietà (soprattutto istituti bancari) e le vetrine sfondate. “Penso mi allontanerò subito prima dell’arrivo a République” spiega Iruwa, mentre tiene per mano Adeline, di 7 anni, che tossisce per il penetrante odore di lacrimogeni ormai sparsi per l’aria. “Lì la piazza sarà chiusa, e ho paura di quello che potrebbe succedere con la polizia”, spiega. Fortunatamente invece l’arrivo a République si dimostra più calmo del previsto: a parte una iniziale sassaiola verso gli agenti di guardia alla piazza, tutto si conclude nel migliore dei modi, per poi continuare con il concerto previsto per le 18. Ed un manifestante lo urla, dapprima nel microfono e poi davanti agli agenti schierati: “Vi abbiamo dimostrato di saper arrivare alla fine nella calma, senza violenza!” grida, accompagnato da scroscianti applausi. Ma, soprattutto con le elezioni francesi alle porte, l’esplosiva situazione di esasperazione contro gli atteggiamenti della polizia, percepita come violenta e prevaricatrice soprattutto dalle periferie e dalle classi più povere, entrerà giocoforza nell’agenda del prossimo presidente francese. Diversamente, questa tregua potrebbe non durare a lungo.