Il gruppo fondamentalista islamico di Hamas ha accettato la creazione di uno Stato palestinese entro i confini del 1967. La notizia è stata diffusa nella giornata di lunedì dall’emittente televisiva “Al Jazeera”, secondo cui l’organizzazione al potere nella Striscia di Gaza avrebbe approvato un nuovo documento politico che prevede il riconoscimento dei confini israeliani del 1967 e la nascita dei territori palestinesi limitati alla Cisgiordania, a Gaza e a Gerusalemme est. Il testo, composto da 41 articoli, è stato posto al vaglio di tutte le organizzazioni e le strutture legate al gruppo fondamenta-lista ed è considerato, secondo quanto rivelano i suoi stessi dirigenti, la base di una “nuova Hamas”. A essere abolita è la parte del documento fondativo del movimento (redatto nel 1987) che auspica la distruzione dello Stato ebraico e la nascita di uno Stato palestinese su tutti i suoi territori storici. L’intento è ottenere credibilità a livello internazionale.
“Un’entità politica palestinese unica, entro i confini del 1967, può costituire una formula di consenso nazionale”, ha dichiarato il leader di Hamas, Khaled Mechaal, nel corso di una conferenza stampa a Doha, in Qatar. “Siamo pronti – ha aggiunto – a cooperare con chiunque ci aiuti a ottenere questo obiettivo”. Secondo i media arabi, l’iniziativa del gruppo fondamentalista mira a ricucire il dialogo con le altre forze palestinesi e soprattutto con i governi stranieri che hanno sempre rifiutato con l’organizzazione di Mechaal (considerata “terroristica” da Stati Uniti e Unione Europea e Israele) ogni tipo di accordo o mediazione. Tuttavia, nello stesso documento, Hamas ribadisce di essere “in conflitto con il progetto sionista e con gli ebrei per via della loro religione” e continua dunque a non riconoscere lo Stato di Israele, come invece chiedeva la comunità internazionale.
Da Tel Aviv, l’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu ha commentato “a caldo” la dichiarazione del gruppo islamista palestinese e l’ha definita “fumo negli occhi”. “Hamas – si legge in una nota diffusa dal premier – continua a perseguire da Gaza il suo unico obiettivo: la distruzione di Israele”. Il documento del gruppo fondamentalista è stato reso pubblico in anticipo sui tempi previsti e a 48 ore dal primo incontro alla Casa Bianca fra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Mahmoud Abbas, previsto in giornata. “I colloqui tra Trump e Abbas rappresentano “un’opportunità” per risolvere la questione israelo-palestinese sulla base della soluzione dei due Stati”, ha dichiarato il portavoce del leader dell’Anp, Nabil Abu Rudeineh. “La comunità internazionale – ha continuato – non dovrebbe perdere questa opportunità per raggiungere la pace, perché la regione è in fermento e l’occupazione (israeliana) non può continuare in alcun modo”.
Nell’ambito degli sforzi per rilanciare il processo di pace in Medio Oriente, Trump è atteso in Israele il 22 maggio prossimo. Il presidente Usa – che ripartirà dal paese il giorno dopo – sarà raggiunto, secondo i media locali, dalla figlia Ivanka, dal genero Jared Kushner, dall’ambasciatore all’Onu Nikki Halevy e dal segretario di Stato Usa Rex Tillerson. L’arrivo per quel giorno di Trump in Israele coincide con alcune date importanti per la storia del paese. Il 23 maggio Israele festeggerà i 50 anni della “riunificazione di Gerusalemme” avvenuta con la Guerra dei 6 giorni nel 1967. Una settimana dopo, il 1 giugno, termina l’effetto dell’ordine presidenziale con il quale l’ex capo della Casa Bianca, Barack Obama, ha congelato per sei mesi l’applicazione della legge che impone il trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. Spetterà a Trump decidere se rinnovarlo oppure no. Secondo alcune fonti citate dalla stampa israeliana, il Tycoon del Queens potrebbe approfittare della visita per dichiarare che l’intera Gerusalemme è capitale d’Israele, rompendo così con la politica finora seguita da Washington, ma senza poi spostare l’ambasciata.
Intanto, fa discutere l’approvazione dell’ultima risoluzione Unesco sulla “Palestina occupata”, che secondo i media israeliani comporterà una perdita totale della sovranità di Tel Aviv su Gerusalemme. Il testo è stato approvato con 20 voti a favore, 10 contrari e 23 astensioni. A differenza della risoluzione su Gerusalemme est adottata lo scorso ottobre, quando l’Italia si era astenuta generando molte polemiche, stavolta tra i Paesi che hanno votato contro c’è anche il nostro. La risoluzione, presentata da Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Oman, Qatar e Sudan, contiene una serie di modifiche rispetto al passato. Il testo afferma l’importanza di Gerusalemme per le “tre religioni monoteiste” e non cita i luoghi santi, evitando così di nominarli solo con il nome musulmano, come era accaduto a ottobre. Tuttavia, nel testo si legge anche che ogni decisione della “potenza occupante” israeliana su Gerusalemme sarà considerata priva di valore, e questo mette di fatto in dubbio la sovranità dello Stato ebraico sull’intera città e non solo sulla sua parte orientale. Oltre all’Italia, hanno votato “no” Stati Uniti, Gran Bretagna, Olanda, Lituania, Grecia, Paraguay, Ucraina, Togo e Germania.
@la_sirianni