Il vento del malcontento soffia forte nei Paesi Bassi e, a meno di un mese dalle elezioni politiche che si terranno il 15 marzo, i sondaggi continuano a dare il PVV, il Partito della Libertà del leader di estrema destra ultranazionalista Geert Wilders, al primo posto davanti al partito di destra moderata del leader uscente Mark Rutte.
Strano caso quello dell’agone politico olandese, dove in una nazione tutto sommato piccola, ma divenuta enormemente ricca nei secoli grazie a scambi commerciali ed egemonia sul mercato mondiale, guadagna sempre più consenso un partito che vuole “essere nuovamente indipendente. E quindi fuori dall’Unione europea”. Sibilline le dichiarazioni rilasciate dal leader (nonché formalmente unico membro del suo atipico partito) Wilders all’Associated Press: “Vedo l’Unione europea fondamentalmente come un vecchio Impero romano vicino alla sua fine. Accadrà presto”.
Ma quanto è realistica un’uscita dall’Unione dei Paesi Bassi, uno dei paesi fondatori, la cosiddetta “Nexit”? Non molto, in realtà. A cominciare dalle concrete possibilità del PVV di andare effettivamente al governo, che saranno con ogni probabilità soffocate dal sistema elettorale olandese, un sistema fortemente proporzionale che sfavorisce i corridori solitari (quale è il partito di Wilders, con cui tutte le altre forze politiche sembrano molto restie ad allearsi) incentivando i candidati più moderati e inclini a fare accordi e coalizioni in Parlamento. Senza contare che, ancora oggi, il Paese basa una grande parte della propria economia sugli scambi commerciali e sul traffico di merci in transito dal porto di Rotterdam, il più grande d’Europa e uno dei più trafficati del mondo, varco di ingresso di una grande percentuale delle merci che entrano nel Vecchio Continente dall’esterno. Un’uscita dei Paesi Bassi dall’Unione europea porterebbe inevitabilmente a una caduta libera delle attività dell’hub portuale, con immediate ricadute sull’economia della regione e sull’occupazione. Nell’ultimo anno risultano infatti essere passate da Rotterdam 461 milioni di tonnellate di merci, che hanno portato un profitto di circa 222 milioni di euro, mentre risultano essere 90.000 le persone in città che lavorano in qualche misura per permettere lo svolgimento dell’attività portuale, con un indotto generato nel paese intero che permette l’occupazione a vario titolo di almeno altre 90.000 persone.
Ma l’uscita dall’Ue non è l’unico punto del programma di Geert Wilders per governare il paese. Ridotto a una sola pagina, contiene sostanzialmente indicazioni su quelli che sembrano più i desideri di un governo isolazionista di fine ‘800 che concrete e pragmatiche idee di un esecutivo. Tra i punti elencati si possono leggere, oltre alla già citata uscita dall’Ue (e dall’Euro, quindi), la promessa della chiusura di tutti i centri di religione e cultura islamica (scuole e moschee), la chiusura di qualsiasi centro di accoglienza per richiedenti asilo, insieme ad altre misure populiste quali la riduzione del costo degli affitti e degli sprechi della sanità pubblica olandese, la quale si basa tuttavia su un sistema di assicurazioni private. Nessuna menzione viene fatta su come queste misure verrebbero eventualmente implementate, ma servono tutte (soprattutto quelle anti islamiche e razziste) a consolidare e far guadagnare ulteriore consenso al leader del PVV, in un paese che viene idealisticamente indicato nell’immaginario collettivo come uno dei più liberali d’Europa.
Lo stesso Wilders è stato infatti accusato e condannato in primo grado per insulti e incitamento all’odio razziale, ma durante il suo discorso di apertura della campagna elettorale (proprio a Rotterdam) non ha perso occasione per scagliarsi contro la “feccia marocchina” (cit.) che abiterebbe nel paese, contribuendo alla fama di “visionario” attribuitagli dai suoi sostenitori per la sua lotta contro l’Islam.
A guardare i numeri tuttavia quella che viene a cadere è proprio l’immagine dei Paesi Bassi come una nazione che fa della libertà e del multiculturalismo una propria bandiera: secondo l’ultimo report Osce, infatti, nel 2015 vi sono stati 2215 attacchi motivati da odio razziale o xenofobo, con ben 439 casi dichiarati (più di uno al giorno) di aggressioni che prendono di mira gli “evidenti segni di appartenenza alla cultura islamica”. Inoltre, secondo l’associazione Meld Islamophobie, organizzazione olandese impegnata nella lotta contro la discriminazione anti islamica, ben l’89% degli attacchi sarebbero stati diretti contro donne coperte dal velo tradizionale.
Segni, questi, che il fenomeno Wilders non arriva sicuramente dal nulla, ed è destinato a far discutere sul futuro della società olandese ed europea. Già, perché nonostante le probabilità di un governo a trazione PVV, con Geert Wilders Primo ministro, siano abbastanza remote, la sua probabile vittoria come primo partito nel voto popolare porrebbe importanti quesiti anche su altri appuntamenti elettorali in arrivo nel Continente, in primis quello francese e tedesco, dove il fenomeno Le Pen è in piena espansione e Frauke Petry, con il suo AfD, guadagna sempre più consensi. Un segnale importante, da guardare con attenzione.