Fotografie, video e storie inedite che servono “per raccontare chi era davvero mio padre, e non quello che si vede nelle serie televisive”. Sebastian Marroquin, il figlio del narcotrafficante Pablo Escobar, porta in Italia il suo spettacolo-verità sulla vita del padre. ‘Pablo Escobar, una storia da non ripetere’, è il titolo scelto per non glorificare in nessun modo la vita e la figura di un genitore scomodo, ma proponendo un racconto, per quanto possibile, sincero e doloroso.
Durante la conferenza stampa a Roma presso la sede di Stampa Estera, Sebastian Marroquin, che ha cambiato identità visto il cognome ingombrante e una vita stravolta dopo la morte del ‘padron’ della droga, ha un atteggiamento critico ma non distruttivo nei confronti del capo più potente del narcotraffico. “Netflix ha glorificato la figura di mio padre – ha detto – facendolo sembrare un uomo di enorme successo e ricchezza. Dopo le serie tv mi sono arrivati tanti messaggi sui social network di giovani ragazzi che vogliono essere come mio padre e vogliono consigli”. Per questo Marroquin non crede che il modo migliore per combattere il narcotraffico sia l’approccio militare bensì quello culturale e della salute pubblica.
Sebastian ha deciso di andare avanti con un’altra identità
La Colombia è nota per la produzione di cocaina ed eroina, non a caso detiene il record di Paese che produce più droga nel mondo. E in questo c’è l’eredità di Pablo Escobar. Un’eredità scomoda, a tratti pericolosissima per Sebastian, che ha deciso di rifiutare per andare avanti con un altro nome e un’altra vita. Dopo la morte del padre infatti, lui e la sua famiglia hanno preferito allontanarsi da tutto ciò che aveva reso ricco e famoso Escobar. Conoscere da vicino questa realtà, esserne partecipe, hanno dato a Marroquin gli strumenti per capire come fare per limitare i danni che il narcotraffico ha fatto e continua a fare in Colombia. Sembra essere un circolo vizioso tanto che le dinamiche del narcotraffico non cambiano. Passano gli anni ma “il capo di un cartello è piu difficile ucciderlo che rimpiazzarlo”, ha detto Sebastian.
La lotta al narcotraffico
Il figlio di Escobar ha le idee molto chiare e sa cosa potrebbe davvero aiutare nella lotta al narcotraffico.
“Non sono dell’idea di legalizzare la droga, ma piuttosto di regolamentarla. Sono convinto che sia lo Stato a dover prendere le redini di questo business. Perché il proibizionismo fa sì che tutti i soldi che derivano dalla droga arrivino nelle tasche di organizzazioni criminali. Così facendo lo Stato guadagnerebbe molto di più e potrebbe utilizzare i soldi per l’educazione civica, ad esempio”, ha spiegato. E proprio di educazione Sebastian ha parlato più volte durante la conferenza. Un valore che gli avrebbe trasmesso suo padre e, quasi ringraziandolo, ha spiegato come lui stesso non abbia mai fatto uso di droghe.
“Mio padre mi diede tutti gli strumenti per stare lontano dalle droghe e da ogni forma di dipendenza nonostante sia cresciuto nell’epicentro”, ha sottolineato. Una contraddizione continua, un po’ come la sua vita da figlio del più grande boss della droga mai esistito. Cresciuto con l’amore di un padre che, a suo dire, gli ha insegnato i valori della famiglia e del rispetto. “Mi insegnava a dire sempre ‘grazie’ e ‘per favore’, mi insegnava ad essere l’opposto di ciò che invece faceva lui”, ha aggiunto. Nessuna glorificazione, nè odio, solo consapevolezza di quello che Pablo Escobar ha fatto come padre e come uomo.
Sebastian Marroquin aveva 7 anni quando ha capito cosa faceva suo papà per vivere e ne aveva 16 quando è rimasto orfano. E’ vissuto sempre nella piena conoscenza dei pericoli che c’erano nel vivere una vita come la sua. “Ora che ho un figlio di 5 anni – ha continuato – non risparmio nulla nel raccontare cosa faceva suo nonno. Ho scritto due libri e realizzato due documentari affinchè anche lui possa sapere e possa decidere chi voler essere. Ma di certo non lo educo ad odiare suo nonno, perchè non sono questi i valori che voglio trasmettere a mio figlio”.
“Mio padre seguiva con attenzione le azioni criminali di Totò Riina”
Come il Cartello di Medellin è famoso nel mondo per la droga e la violenza, in Italia la mafia non ha fatto meno. Per questo i giornalisti hanno avuto interesse a sapere da Marroquin se ci siano stati legami tra suo padre e la mafia italiana. “Non ho trovato alcuna prova che indichi un legame di mio padre con la mafia italiana. Quello che so per certo è che guardava con attenzione alle azioni criminali di Totò Riina e i mezzi che utilizzava per sovrastare lo Stato“, ha spiegato. Poi ha aggiunto come sia più probabile pensare a un legame “tra mio padre e la mafia italiana radicata negli Stati Uniti. Mio padre trafficava droga principalmente negli Stati Uniti perché era un business molto redditizio grazie alla vicinanza geografica rispetto ad altri Paesi”.
Le rotte utilizzate dal narcotraffico e i soldi che circolavano intorno agli aeroporti
E se questo i più lo sanno grazie ai film hollywoodiani, sono in molti a non sapere le rotte utilizzate dal narcotraffico e i soldi che circolavano intorno agli aeroporti. “Le rotte del narcotraffico erano molte – ha spiegato – Per esempio ogni settimana 800 chili di droga venivano portati dall’aeroporto di Medellin a quello di Miami. In questo caso la Dea (l’autorità dedicata a combattere il fenomeno del narcotraffico) prendeva dai 3000 ai 3500 dollari per ogni chilo che veniva fatto entrare negli Stati Uniti. In questi casi tutti erano collusi, anche i membri dell’equipaggio, come spiego bene nel mio ultimo libro. Detto ciò credo che ogni Stato abbia il suo Cartello e fino a quando ci sarà il proibizionismo le regole del gioco non cambieranno”.
Infine il figlio di Escobar ha salutato tutti con una riflessione: “Dopo l’11 settembre le droghe hanno continuato ad affluire da ogni parte del mondo. Ma basta pensare al fatto che ogni volta che andiamo in aeroporto per i controlli veniamo completamente spogliati. È evidente che c’è una corruzione sempre più forte e che nessuno lo riconosca”.