Il 68% dei crimini negli Stati Uniti avvengono con l’uso di un’arma da fuoco e ogni giorno 87 americani vengono uccisi con una pistola (dati Coalition to stop gun violence). Tra il 2004 e il 2014 si contano 313 americani vittime di atti terroristici in tutto il mondo. Le persone uccise da armi da fuoco sono più di 316mila. La strage del Pulse, discoteca gay in cui 50 persone sono state freddate da Omar Mateen, è solo l’ultima cronaca di una strage annunciata. Oggi è Orlando, ma in principio fu la Columbine High School.
Nel 1999 all’interno del liceo del Colorado persero la vita dodici studenti e un insegnante, ma molte altre vite vennero distrutte da Eric Harris e Dylan Klebold, due normali adolescenti annoiati e armati. Così almeno provò a spiegarli il regista Gus Van Sant nel suo film Elephant. Ma le vite spezzate, anche quelle di Eric e Dylan, erano solo il prologo di una carneficina continua, che nasconde interessi economici e fallimenti culturali. Da quell’ormai lontano 1999, il mondo si divide sul secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America, che sancisce il diritto individuale, per ogni cittadino statunitense, di possedere un’arma. Centro di numerosi dibattiti e controversie interpretative fino dall’inizio del ‘900, il diritto è stato definitivamente sancito come inviolabile, nel 2008, dalla Corte Suprema.
A diciassette anni da quell’evento limite ed eccezionale, gli scontri a fuoco negli Stati Uniti sono diventati la quotidianità, al pari degli appuntamenti con il David Letterman e la colazione coi pancakes. Così, quello che è accaduto sabato a Orlando, per quanto spaventa non riesce a stupire. Non sconvolge come il Bataclan, ma riscalda, ancora una volta, un dibattito che sembra non avere una fine: quando gli Stati Uniti smetteranno di considerare il possesso di un’arma non solo la normalità, ma perfino un diritto?
Mass Shooter Tracker ci dice che nel 2015 ogni giorno, in media, si è verificata una sparatoria grave. Da Phoenix a Sacramento, da Chicago a Baltimora. L’epidemia attraversa in lungo e in largo i cinquanta Stati. Los Angeles era stato l’ultimo scenario di un gioco mortale che non vuole finire. Due vittime all’Ucla, la più grande università californiana dopo Berkeley. Né la prima, né l’ultima sede scolastica ad essere colpita. Le due sparatorie più sanguinose hanno avuto luogo nelle scuole: il Virginia Tech nel 2007, cinque anni dopo la scuola elementare Sandy Hook. Come se, per una perversa ironia della sorte, ad essere sotto attacco fosse proprio la cultura.
Una violenza diffusa e inaudita se paragonata alla situazione negli altri Paesi “sviluppati”.
Oggi Orlando diventa la strage più grave compiuta con armi da fuoco della storia statunitense.
Ma perché negli Stati Uniti accade tutto ciò? Il motivo più immediato, che viene in mente, è l’estrema facilità con cui davvero chiunque riesce ad acquistare un’arma. I negozi online proliferano sul web. Le fiere cittadine, invece che di bancarelle per il cibo, sono affollate da rivenditori di armi. L’abitudine è talmente radicata che lo stesso Black Friday, giorno di saldi che lancia lo shopping natalizio, è diventato occasione per reperire armi a poco prezzo: una caccia all’ultimo sconto e all’ultima pallottola. Difficile per noi, che da poco abbiamo scoperto la spesa a domicilio, capire come, con lo stesso pacchetto di un Amazon qualunque, possa entrare nella tua casa e nella tua quotidianità un oggetto di morte. Il fucile utilizzato dall’assassino di Orlando è un M16. Un’arma militare, che in Florida si ottiene come di una pistola. Uno strumento di guerra, non certo di difesa.
Ma il dibattito negli Usa, è concentrato proprio su questo concetto limite. Il possesso di armi non è percepito come un pericolo, piuttosto come una modalità di difesa, che dovrebbe quindi garantire maggiore sicurezza. Togliere un’arma ad un cittadino statunitense è come privarlo del suo mezzo di fiducia personale, di una difesa da quel mondo bad and ugly che si trova al di fuori della sicura casetta nei sobborghi cittadini. I dati ci raccontano, come spesso accade, un’altra storia. Ma c’è chi sostiene che l’equazione “armi uguale pericolo” sia un’idea confusa di una certa sinistra. Nonostante il numero di armi sia aumentato negli ultimi anni di quasi il 50%, questo non avrebbe portato ad un aumento esponenziale delle sparatorie. Ma 357 milioni di armi per una popolazione di neanche 320 milioni di persone sembrano davvero un’esagerazione. E a giocare un ruolo da protagonista non sono i cittadini, bensì le lobby.
Il presidente Obama ha sfidato, almeno a parole, i più riconosciuti artefici di questo viscerale rapporto tra armi e americani: «La lobby delle armi può forse tenere in ostaggio il Congresso, ma non può tenere in ostaggio l’America. Non possiamo accettare queste carneficine nelle nostre comunità». Di fatto la presa di posizione di Obama si limita all’attuazione di maggiori controlli e si concentra su rivenditori e licenze. Il piano della Casa Bianca prevede centinaia di nuovi agenti ed esaminatori e un fondo di 500 milioni di dollari per analizzare i problemi psichiatrici dei possibili acquirenti.
Poco importa quante armi ci sono in giro, l’importante è che ce le abbiano quelli giusti. Nonostante il 47% degli americani appoggi questa richiesta di maggiore controllo, il resto degli americani è contento delle leggi (38%), e in piccola percentuale (14%), le vorrebbe ancora meno rigide (sondaggi Gallup). Il 20 maggio la Nra, una delle associazioni che difende il diritto al possesso di armi da fuoco (tra le altre Safari Club International, Gun Owners of America), ha dichiarato apertamente il suo appoggio a Trump nella corsa alla Casa Bianca. A conferma che tutto il dibattito ruota intorno ad un interesse economico, sebbene venga inculcato come una questione culturale e di diritto. Ma difendersi dalle logiche delle lobby pare quasi impossibile in un sistema, quello statunitense, nato come culla di quel mondo dominato dagli interessi. Si stima che, solo nel 2014, la lobby delle armi abbia speso oltre 12 milioni di dollari per influenzare le decisioni del Congresso.
Ancora una volta, il cambiamento delle politiche statunitensi potrà contare solo in parte sull’esito delle prossime presidenziali. E, se la cosa importante della strage di Orlando è la rivendicazione dell’Isis, si rafforza ancora di più il Trump pensiero: meno islamici, più armi per gli americani. Nessuno tocchi il secondo emendamento.