La morte di Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, apre un nuovo capitolo in Medio Oriente. Al netto delle dichiarazioni di facciata che in parte accusano Israele e in parte invocano un cessate il fuoco per scongiurare una guerra in tutta la regione, le decisioni e soprattutto le azioni del primo ministro, Benjamin Netanyahu, nella Striscia di Gaza come in Libano, non sembrano dispiacere all’Occidente e a buona parte del mondo arabo. Di fatto, la guerra contro Hamas e Hezbollah, in chiave anti Iran, potrebbe tornare utile a molti. Se fino ad ora, e cioè dall’indomani del 7 ottobre 2023 (data dell’attacco dei terroristi di Hamas contro Israele), il quadro non appariva molto chiaro, dopo l’uccisione di Nasrallah alcune dichiarazioni forniscono elementi interessanti.
A partire da Joe Biden, presidente degli Stai Uniti, che ha definito l’uccisione del leader di Hezbollah “una misura di giustizia per le sue numerose vittime, tra cui migliaia di civili americani, israeliani e libanesi. Hassan Nasrallah e il gruppo terroristico da lui guidato, Hezbollah, sono stati responsabili dell’uccisione di centinaia di americani durante un regno del terrore durato circa quattro decenni”. E la sua morte “é avvenuta nel contesto più ampio del conflitto iniziato con il massacro di Hamas il 7 ottobre 2023. Nasrallah, il giorno dopo, ha preso la fatidica decisione di allearsi con Hamas e di aprire quello che ha definito un ‘fronte settentrionale’ contro Israele”. Parole chiare e inequivocabili che, al netto delle speculazioni politiche e giornalistiche, dimostrano il pieno appoggio degli Stati Uniti a Israele. Su questa linea anche Jared Kushner, genero di Donald Trump e in passato consigliere dell’ex presidente proprio sulla questione Mediorientale, che su X ha chiarito come Israele “non può permettersi di non finire il lavoro” contro gli Hezbollah libanesi, che rappresentano “un’arma puntata contro” il Paese. E aggiunge che “questo è il momento di sostenere la nazione di Israele che cerca la pace”, sottolineando come “il problema principale tra Libano e Israele è l’Iran; altrimenti ci sarebbero molti vantaggi per le popolazioni di entrambi i paesi nel lavorare insieme. La mossa giusta ora per l’America sarebbe dire a Israele di finire il lavoro. È da tempo che è necessario. E non è solo la lotta di Israele”.
E che non sia solo la lotta di Israele appare dunque chiaro, soprattutto in considerazione del fatto che nessun altro avrebbe potuto fare ciò che sta facendo il governo di Netanyahu contro due organizzazioni terroristiche, Hamas e Hezbollah, proxy iraniani, ma soprattutto contro Teheran che rappresenta una minaccia anche per i Paesi arabi sunniti. Da segnalare anche la posizione sul conflitto nella Striscia di Gaza del principe saudita, Mohammed bin Salman, che avrebbe proibito agli imam di pregare per la Palestina o anche solo di menzionarla nei loro sermoni nelle moschee saudite. Ma non solo. Nel colloquio di gennaio con il segretario di Stato americano, Anthony Blinken, bin Salman avrebbe chiarito di essere “personalmente disinteressato alla questione palestinese”, ma che deve tenerne conto visto che la metà dei suoi sudditi sono più giovani di lui e hanno approcciato al conflitto israelo-palestine in occasione dello scoppio della guerra a Gaza dopo il 7 ottobre 2023. Ma il lavoro per normalizzare i rapporti con Israele, che fa parte degli Accordi di Abramo, continuano invece ad interessarlo conducendolo a mantenere posizioni di equilibrio, almeno apparente.
E in generale l’inazione della comunità internazionale per un cessate il fuoco a Gaza e ora in Libano, motivata con l’impossibilità di trovare un accordo, desta perplessità. Forse la comunità internazionale vede in questo conflitto la possibilità di ridimensionare l’Iran, anche colpendo i suoi proxy, per tenere a bada la questione nucleare.
Si può parlare di un ‘Nuovo Ordine’ in Medio Oriente? Secondo alcuni analisti il regime degli ayatollah non reagirà alla morte di Nasrallah, così come non lo ha fatto (nonostante i proclami e le minacce) dopo l’assassinio di Isma’il Haniyeh, capo di Hamas, avvenuto a Teheran. Le recenti operazioni del Mossad, compresa quella che ha visto esplodere i cercapersone, i cellulari e gli impianti di ricezione dei comandanti di Hezbollah, hanno dimostrato un livello di infiltrazione nei due gruppi terroristici di altissimo livello aprendo, anche, alla possibilità di aiuti ‘esterni’ arrivati all’intelligence israeliana da parte di quelle di altri paesi.
L’Iran e quello che resta di Hezbollah, compresi gli ultimi scampoli di Hamas, ne sono consapevoli. Forse per questo motivo Joe Biden, rispondendo ad una domanda sulla possibilità di un’invasione di terra in Libano da parte di Israele, ha risposto che adesso “é tempo di un cessate il fuoco”. Forse lasciando intendere che Hamas, Hezbollah e anche l’Iran, assai depotenziati, aprirebbero alla possibilità di una resa, anche se non ufficialmente dichiarata e di un conseguente cessate il fuoco.
Teheran è ben consapevole che Israele, se aggredito, provvederebbe immediatamente a colpire i siti nucleari e di immagazzinamento di materiale bellico, così come in Libano è avvenuto per Hezbollah. In tal caso gli iraniani si troverebbero nell’impossibilità di colpire lo Stato ebraico e di perdere ulteriormente la credibilità interna al paese anche se più o meno imposta.
Lo scià di Persia, Reza Pahlavi, nei giorni scorsi ha fatto sentire la sua voce, intervenendo anche sui social media con dichiarazioni volte a tutelare la popolazione iraniana in mano a uno sparuto gruppo di islamisti e di despoti. Pahlavi, pur mantenendo una posizione non certo “amichevole” nei confronti di Israele, è convinto che una sollevazione popolare potrebbe auspicare un suo ritorno e ad una conseguente riforma dei rapporti internazionali di Teheran riportando il paese su binari assai meno bellicisti.
Appare evidente che le reiterate azioni israeliane in Iran sono state appoggiate, se non compiute, da agenti interni al Regime e la popolazione, anche nella giornata di ieri, è riuscita a manifestare il proprio dissenso verso l’autorità costituita scendendo in alcune piazze e scagliandosi contro la polizia religiosa di regime, i famigerati Basij. Una ulteriore perdita di credibilità interna all’Iran e di quella acquisita con i sostenitori sciiti delle varie entità arabe, provocherebbe un crollo verticale del Regime, un’implosione suffragata da Israele, che aprirebbe realmente nuovi ed inaspettati scenari in ambito globale.
Nel frattempo, proprio gli Usa, sempre attraverso il presidente in carica, hanno fatto sapere che stanno rispondendo al lancio di missili da parte del gruppo ribelle Houthi sostenuto dall’Iran nel Mar Rosso. Tel Aviv, infatti, nella serata di ieri, è stata oggetto di un bombardamento da parte degli Houthi, un lancio di missili, per lo più abbattuti dal sistema avanzato di intercettazione israeliano, che non hanno provocato danni, ma riproposto la questione yemenita nell’agenda dei “next targets” per lo staff militare di Netanyahu. L’altro proxy di Teheran potrebbe quindi avere i giorni contati, così come l’ayatollah Khamenei, le cui condizioni di salute stanno misteriosamente aggravandosi. Cambiamento climatico?