La morte della giornalista di al Jazeera rischia di far precipitare la situazione tra israeliani e palestinesi. Una vicenda triste e scomoda per ambo le parti che, non trovando un accordo su un’indagine congiunta, vedranno la parte palestinese accusare Israele di “omicidio mirato”, mentre Gerusalemme si troverà inevitabilmente sul banco degli imputati, considerato che le indagini sull’accaduto saranno portate avanti probabilmente a senso unico.
Oggi pomeriggio, nel quartiere cristiano di Gerusalemme, si svolgeranno i funerali di Shireen Abu Akleh, uccisa mercoledì durante il raid nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania. E il livello di allerta della polizia israeliana per la cerimonia funebre nella Città Vecchia è altissimo. Sono attese migliaia di persone con un elevato rischio disordini che in Israele vanno avanti da quasi due mesi, da quando cioè ha avuto inizio una scia di attentati come non accadeva da forse vent’anni. 19 persone sono morte e i terroristi individuati come responsabili, in quasi tutti gli attacchi, provenivano proprio da Jenin. E quando Shireen Abu Akleh è stata uccisa, nel campo profughi le forze di sicurezza israeliane erano impegnate per un raid contro i terroristi.
La verità sulla morte della giornalista, però, è ancora tutta da scrivere. Israele ha immediatamente richiesto un’indagine congiunta sulla morte in quanto ritiene che potrebbe essere stata uccisa dai terroristi palestinesi impegnati nello scontro a fuoco contro le forze israeliane. Ma le autorità palestinesi si sono opposte. Al-Jazeera, dal canto suo, afferma che Israele ha deliberatamente ucciso la sua giornalista durante il raid nel campo profughi in Cisgiordania. Ma secondo l’esercito israeliano, le circostanze dell’accaduto non sono comunque chiare. E la dinamica esatta dei fatti farà fatica ad emergere visto che i palestinesi non sono disposti a concedere a Israele la possibilità di esaminare il proiettile che ha ucciso Shireen Abu Akleh, e ribadiscono il loro ‘no’ alle richieste dello Stato ebraico di indagini congiunte sulla morte della giornalista con passaporto statunitense.
“Israele ha chiesto un’indagine congiunta e la consegna del proiettile che ha ucciso la giornalista Shireen, abbiamo rifiutato e detto che la nostra indagine sarà portata avanti in modo indipendente”, ha fatto sapere in un tweet il ministro palestinese Hussein al-Sheikh, dopo le notizie dei media israeliani secondo cui il calibro del proiettile estratto durante l’autopsia a Nablus sarebbe compatibile sia con le armi in dotazione alle IDF che con quelle dei miliziani palestinesi, gli uni armati con M16 e gli altri con Kalashnikov, entrambi con calibro 5,56. Al-Sheikh ha inoltre assicurato che “la famiglia, gli Usa, il Qatar, tutte le autorità ufficiali e l’opinione pubblica verranno informati dei risultati delle indagini con un alto livello di trasparenza. Tutti gli indicatori, le prove e i testimoni confermano la sua uccisione da parte delle unità speciali israeliane”.
In ogni caso, e in attesa dell’esito delle indagini, oltre alle dichiarazioni ufficiali, ci sono elementi sulla dinamica dei fatti che gli stessi palestinesi non possono ignorare. Jihad islamica e Hamas, ad esempio, non portano elmetti. È quindi difficile che l’IDF abbia volutamente mirato alle uniche persone che indossavano la protezione, e cioè i giornalisti. Diversa la visione da parte dei miliziani, che proprio nell’elmetto potrebbero avere individuato un nemico, un militare israeliano, unici ad indossare il “casco”, colpendo invece la povera giornalista. Inoltre, vi sono diversi video postati sui social network dove, a seguito di diverse raffiche di Kalashnikov esplose dai palestinesi, uno di loro urla di avere ucciso un soldato ebreo. ma da parte israeliana non si lamentano perdite. E ancora: ci si chiede come mai la giornalista fosse esposta al fuoco dietro le linee dei terroristi palestinesi, considerato che indossava le protezioni, giubbetto antiproiettile ed elmetto, con la scritta “Press” ben evidente. Un altro fattore di rilievo è quello relativo all’addestramento dei combattenti. Mentre i terroristi palestinesi amano sparare raffiche in libertà, giusto per mostrare la loro potenza, i militari dell’IDF vengono addestrati a sparare brevi raffiche di 3-4 colpi, successivamente all’individuazione dell’obiettivo. È quindi da escludere che abbiano proditoriamente preso di mira la povera giornalista considerandola un obiettivo ostile.