Medio Oriente tra guerra e pace: in Iran eletto un presidente riformista.
Successivamente all’incontro tenutosi in questa settimana tra il Segretario Generale di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, e una delegazione leader del movimento Hamas guidata da Khalil Al-Hayya, il Segretario Generale di Hezbollah Nasrallah, ha commentato gli ultimi sviluppi politici e di sicurezza in Palestina in generale e a Gaza in particolare e le condizioni per un ‘eventuale tregua.
Ma, oltre alla Striscia di Gaza, sono stati passati in rassegna i fronti di sostegno in Libano, Yemen e Iran. Pur a fronte di un piano di pace in fase di discussione, i leader dei due gruppi terroristici hanno sottolineato la necessità di dare continuità nel coordinamento sul campo e politico a tutti i livelli per raggiungere gli obiettivi auspicati.
Dal Libano, lo Sheikh Naim Qassem, vice segretario generale di Hezbollah, ha sottolineato l’impegno di questo movimento in favore del popolo palestinese contro l’aggressione sionista, mettendo in guardia Israele dal non intraprendere alcuna attività in Libano, pena una “risposta schiacciante” da Hezbollah.
L’avvertimento di Hezbollah ai sionisti, il ritorno della Lega araba ad un appoggio alla resistenza libanese, la distruzione delle armi sioniste da parte della resistenza libanese, sono solo una parte delle notizie più rilevanti della settimana trascorsa.
Il web magazine iraniano “Pars today” ha riportato le dichiarazioni di Ram Aminakh, generale dell’esercito di riserva del regime sionista, che avrebbe ammesso il potere missilistico di Hezbollah libanese definendolo come “una delle prime 5 potenze missilistiche al mondo in termini di numeri di testate”.
Il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth ha, invece, sottolineato come l’imminente ritiro delle truppe sioniste da Rafah può impedire lo scoppio della guerra ai confini del Libano e dei territori occupati.
La testata giornalistica ha sottolineato che la resistenza libanese ha elevate capacità militari e attrezzature e tecnologie molto pericolose. La penetrazione di centinaia di droni dai confini del Libano ha dimostrato che i sistemi di sicurezza e militari non sono pronti ad affrontare tale numero di droni.
Secondo la Russia, il quotidiano saudita Al-Yaum, che ha citato Hossam Zaki, vicesegretario generale della Lega araba, dopo il suo viaggio a Beirut, ha annunciato di non considerare più il movimento di Hezbollah libanese come un’organizzazione terroristica e che gli Stati membri della Lega araba hanno dichiarato che tale decisione rende possibile il dialogo con Hezbollah.
I finanziamenti occulti per Hamas
Secondo fonti di Intelligence, i terroristi di Hamas ricevono circa 12 milioni di dollari al mese attraverso gruppi che si spacciano per enti di beneficenza a Gaza.
Funzionari israeliani stimano che Hamas stia raccogliendo dagli 8 ai 12 milioni di dollari al mese proprio attraverso donazioni online, in gran parte attraverso organizzazioni pseudo umanitarie, come UNRWA, Associazioni pro-palestina europee e semplici soggetti che devolvono ingenti somme di denaro in favore dei civili di Gaza.
Ciò equivarrebbe a un aumento multiplo dei finanziamenti online rispetto a quanto il gruppo riceveva prima del suo attacco contro Israele il 7 ottobre, questo secondo i funzionari dell’Ufficio nazionale di finanziamento antiterrorismo israeliano.
Washington ritiene inoltre che occorre porre fine al fenomeno delle donazioni online in favore di Hamas ed è determinato ad aiutare Israele a bloccare definitivamente tale pratica.
Secondo un alto funzionario americano: “Non c’è dubbio che vi sia un notevole aumento delle donazioni legittime e illegittime ai palestinesi a causa delle ostilità a Gaza”, ha affermato Matthew Levitt, membro del Washington Institute for Near East Policy, che ha trascorso anni seguendo gruppi come Hamas, anche mentre lavorava in precedenza presso il Tesoro degli Stati Uniti.
I funzionari di Hamas, infatti, richiedono pubblicamente doni in denaro per la loro lotta contro Israele. “Questa non è solo una questione umanitaria, nonostante la sua immensa importanza e il bisogno di Gaza di tutto l’aiuto possibile”, ha detto a gennaio il leader politico di Hamas Ismail Haniyeh. “Questa è jihad finanziaria”.
Il fronte nord e i rapporti tra Iran – Hezbollah e Houthi yemeniti
La leadership di Hamas ha in previsione un trasferimento dal Qatar all’Iraq per motivi di sicurezza personale ritenendo che agenti israeliani possano infiltrarsi a Doha per missioni di eliminazioni mirate.
In Iraq, agli iraniani verrà delegato il compito di proteggere i leader e gli uffici di Hamas a Baghdad, secondo un rapporto, ma le previsioni degli analisti di Intelligence non sono rassicuranti per i leader dell’organizzazione terroristica. Hamas non sarà al sicuro in territorio iracheno nemmeno sotto la protezione iraniana.
Teheran, nel contempo, continua nell’invio di attrezzature militari ad Hezbollah, comprese le difese aeree e i missili guidati anticarro Almas; armi trasferite via terra in camion e pickup. Recentemente Israele ha, infatti, bombardato diverse spedizioni di armi e finora ha distrutto numerosi sistemi di difesa aerea già stanziati in Libano.
Fonti della sicurezza dicono che Israele non ha altra scelta se non quella di entrare in guerra contro Hezbollah; i funzionari della difesa sono quotidianamente riuniti per discutere sulla migliore linea d’azione da intraprendere.
L’IDF è in attesa di una grande guerra, il capo dell’aeronautica militare e il capo del comando settentrionale discutono ogni notte sulla preparazione al combattimento e sui potenziali scenari.
L’intelligence israeliana avverte, inoltre, che le attività terroristiche degli Houthi si espanderanno in tutto il Medio Oriente grazie agli aiuti dell’Iran e, di conseguenza, i ribelli sciiti yemeniti potrebbero prendere di mira Israele da nuovi fronti.
Continua il programma nucleare iraniano
In concomitanza con i fatti suesposti, il quotidiano Jerusalem Post, si chiede come si possa interrompere il programma nucleare iraniano. La risposta fornita è il cambiamento di regime istigato dalle minoranze etniche dell’Iran.
Trascorrono i mesi e la minaccia nucleare iraniana cresce di ora in ora, passando sotto il silenzio anche dei mass media. I decisori negli Stati Uniti e in Europa sono sempre più allarmati poiché l’Iran sta sfruttando la distrazione creata dalla guerra di Gaza per arricchire l’uranio al 90%. Tutti sanno che nessun programma nucleare civile richiede un arricchimento così elevato. Pertanto, si teme fortemente che l’Iran disponga presto di un’arma nucleare che minaccerà Israele, l’America, l’Europa e l’intero mondo libero. A meno di interventi esterni, ed estremi, che ottengano i risultati anelati con azioni di forza.
La sofferenza delle minoranze etniche dell’Iran
Le minoranze etniche dell’Iran hanno tutte le ragioni immaginabili per ribellarsi. Dopo che Mahsa Amini, una ragazza curda, è stata brutalmente uccisa per aver protestato contro le leggi repressive dell’Iran sull’hijab, i gruppi etnici iraniani si sono uniti nel cercare maggiore autonomia e libertà dal governo centrale di Teheran. Questi gruppi sono indignati per il fatto che il regime iraniano reprima le lingue azera, curda, beluci e araba nelle regioni dell’Iran popolate da minoranze etniche iraniane.
Inoltre, tutti questi gruppi etnici hanno sofferto a causa del terrorismo ambientale portato avanti dal regime di Teheran. Un esempio brutale è la difficile situazione del Lago Urmia nell’Azerbaigian meridionale, che rischia di prosciugarsi a causa del terrore ecologico persiano. Di conseguenza, gli azeri del sud, nell’ultimo anno, non solo hanno protestato contro tale terrorismo ecologico e per il rilascio dei prigionieri, ma hanno anche cercato l’indipendenza dal regime dei mullah. La comunità dell’Azerbaigian meridionale, come tutti i gruppi etnici dell’Iran, ha sofferto a causa della brutale repressione del dissenso da parte dell’Iran.
L’anno scorso l’Iran ha giustiziato 834 persone, il numero più alto dal 2015. Ciò rappresenta un aumento del 43% rispetto all’anno precedente. “Instillare la paura nella società è l’unico modo a disposizione del regime per mantenere il potere, e la pena di morte è il suo strumento più importante”, ha affermato Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore dell’IHR (Iran Human Rights), con sede in Norvegia.
“È stato confermato che la violenta repressione del dissenso pacifico e la grave discriminazione contro donne e ragazze in Iran da parte della Repubblica islamica costituiscono a dir poco crimini contro l’umanità”, ha affermato Hadi Ghaemi, direttore esecutivo del Centro per i diritti umani in Iran (CHRI).
“La brutale repressione del governo sulle proteste “Donna, Vita, Libertà” ha visto una moltitudine di atrocità che includono esecuzioni extragiudiziali, torture e stupri. Queste violazioni colpiscono in modo sproporzionato i più vulnerabili della società: donne, bambini e gruppi minoritari”, ha aggiunto.
Il dottor Sarang Zeynizadeh, un attivista azero per i diritti umani residente negli Stati Uniti, ha dichiarato: “Si stima che i turchi azerbaigiani, concentrati principalmente nella zona povera di petrolio a nord-ovest dell’Iran (lungo il confine con Turchia, Armenia e Azerbaigian), costituiscano un quarto della popolazione iraniana di 70 milioni di abitanti. Gli azeri spesso rivendicano una quota di popolazione vicina al 40%, un numero che include fratelli etnici come i turkmeni, i qashqai e altri gruppi di lingua turca”.
Se anche solo gli azeri del sud si ribellassero contro il regime di Teheran, sarebbe un colpo fatale per i mullah. Se, d’altra parte, si uniranno ai curdi, ai beluci, agli Ahwaz e ad altre minoranze etniche e combatteranno per un cambio di regime, i mullah saranno finiti e il loro programma nucleare sarà relegato nella pattumiera della storia. Pertanto, se la comunità internazionale si preoccupa di porre fine rapidamente al programma nucleare iraniano, dovrebbe, in contemporanea, fare tutto il necessario per sostenere tutte le minoranze etniche iraniane che tentano di separarsi dal regime e creare stati etnici indipendenti in quello che attualmente è l’Iran.
Una volta che ciò accadrà, la minaccia di Hezbollah, Hamas e delle decine di milizie filo-iraniane in Iraq, Siria e Yemen diminuirà rapidamente, e le prospettive per Israele e l’intero Medio Oriente di vivere in pace e sicurezza aumenteranno notevolmente.
Gli stati etnici indipendenti avranno rapporti più stretti con l’Occidente, la Russia perderà il suo fornitore di armi e la Cina dovrà cambiare la sua politica nei confronti dell’Occidente, che otterrà così una riapertura positiva nei rapporti con lo stato arabo di Ahwaz, fonte del conflitto iraniano.(fonte: Jerusalem Post)
Il piano di pace per il conflitto Israele – Hamas
Secondo i dettami forniti venerdì scorso dal presidente americano Biden, il piano per tregua a Gaza e la liberazione degli ostaggi, realizzato da Israele, non è diverso da quello che era già in discussione agli inizi del mese di maggio e che Hamas cambiò in maniera tale da non essere poi accettato dal Paese ebraico.
La proposta si articola, come la precedente, in tre diverse fasi consecutive.
La fase 1 prevederebbe un “cessate il fuoco” per 6 settimane in tutta la Striscia, con i militari israeliani che si ritirerebbero dalle aree abitate di Gaza.
Durante questo periodo di tregua, Hamas procederebbe al rilascio di un “centro numero” di ostaggi “per motivi umanitari”, tra i quali donne, anziani e feriti in cambio della liberazione di centinaia di prigionieri palestinesi. Ai civili di Gaza sarà concesso di tornare nelle loro case e ci sarà un incremento degli aiuti umanitari fino a 600 camion al giorno e la realizzazione di abitazioni temporanee. Nella prima fase, si dovrebbero gettare le basi tra le parti per una discussione sul cessate il fuoco permanente.
La fase 2, per i presidente americano, coinciderebbe con la fine delle ostilità o, comunque, una continuazione della tregua sino al raggiungimento di un accordo definitivo.
Questo non rappresenta di per sé una novità rispetto alla proposta precedente. Durante questo periodo, Hamas libererebbe tutti gli ostaggi ancora in vita, compresi i militari, mentre l’esercito dovrebbe lasciare la Striscia.
Nella fase 3 si dovrebbe cominciare il piano di ricostruzione della Striscia e Hamas dovrebbe restituire a Israele i corpi degli ostaggi uccisi. Alla ricostruzione parteciperebbero paesi arabi.
Il piano sarebbe stato accettato da Israele nonostante le proteste di alcuni membri dell’esecutivo, tra i quali gli estremisti di destra Ben Gvir e Smootrich, che non vogliono derogare all’annientamento di Hamas, non senza ragione, prima del cessate il fuoco permanente. Anche lo stesso Netanyahu ha espresso dubbi sul fatto che non si riesca a portare a termine l’obiettivo di cancellare Hamas, mentre il ministro della difesa Gallant ha detto che le ostilità non termineranno fino a quando non saranno rientrati gli ostaggi in Israele. Hamas ha definito “positiva” la proposta illustrata da Biden e si attende una sua approvazione formale, che dovrebbe avvenire con il placet della fazione che sta a Gaza, e che fa capo a Yahya Sinwar.
Un riformista a capo dell’Iran
Nel frattempo, in Iran è terminata la consultazione elettorale con l’affermazione del candidato riformista Masoud Pezeshkian, nominato presidente con uno scarto di 3 milioni di voti contro il concorrente, l’ ultraconservatore Jalili.
Chirurgo cardiovascolare, il 69enne Pezeshkian è nato a Mahabad, nella provincia dell’Azerbaijan occidentale, da padre di etnia azera e madre curda. Rimasto vedovo, nel 1993 dopo la morte della moglie e di una figlia in un incidente stradale, ha cresciuto da solo gli atri tre figli.
Ha da sempre criticato la severità del regime contro le proteste delle minoranze etniche e intende alleggerire l’isolamento internazionale del Paese che hanno indotto le sanzioni economiche che gravano sull’Iran.
Durante la campagna elettorale, ha fatto intendere che, in caso di una sua elezione, avrebbe cercato di raggiungere un compromesso con gli Stati Uniti sul ripristino dell’accordo sul nucleare e la revoca delle «sanzioni catastrofiche» contro l’Iran che ne hanno rallentato notevolmente la crescita economica.
Secondo il neo eletto, sarebbe possibile l’annullamento delle sanzioni ma occorre considerare che esse rappresentano lucrosi affari per personaggi orbitanti attorno e all’interno del regime di Teheran.
Sono note le sue posizioni sulla fine delle limitazioni alla libertà delle donne che hanno provocato un netto distacco dall’Islam con lezioni repressive poste in atto dai governi precedenti su input dell’ayatollah Khamenei.
Ottimi i primi propositi di Pezeshkian, sempre che, in un un regime teocratico oltranzista, si riesca a porre in atto i programmi che lo stesso presidente si impone di perseguire.