La terza intifada palestinese è già iniziata e il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas, meglio noto come Abu Mazen, non sarà in grado di fermarla. Lo ha annunciato ieri il 73enne esponente della dirigenza di Hamas a Gaza, Mahmoud Al Zahar.
“La rivolta popolare contro l’occupazione israeliana e i suoi coloni è iniziata nella Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e in quella occupata – ha detto – e andrà a proteggere i beni dei palestinesi e i loro luoghi santi”.
Al Zahar, è stato uno dei fondatori di Hamas, il movimento di resistenza islamico palestinese, ed è attualmente uno dei maggiori leader della fazione terroristica e membro del Consiglio legislativo palestinese.
In una recente intervista rilasciata ai website legati alla “resistenza palestinese”, ha sottolineato che gli ultimi eventi nella Striscia di Gaza dimostrano chiaramente che lo “spirito di ribellione contro l’esercito di occupazione israeliano è ancora vivo e forte, nonostante i continui tentativi di repressione” e che le “operazioni di resistenza qualitativa portate avanti dai palestinesi dimostrano il fallimento della politica di sicurezza israeliana”.
Sempre secondo Al Zahar, Abu Mazen non sarebbe in grado di sedare questa intifada che è fiorita dal basso, dal popolo palestinese e dalla determinazione dimostrata negli ultimi mesi con le ininterrotte manifestazioni al confine con lo Stato ebraico.
Nel frattempo, il ministero della Salute di Gaza ha comunicato che, durante gli scontri di ieri, un bambino di soli 12 anni e due giovani 21enni hanno perso la vita negli scontri con i soldati israeliani schierati a difesa della frontiera, mentre altre 50 persone risultano ferite. È lecito chiedersi se queste continue arringhe di sostegno rivolte a fomentare una inutile e sterile rivolta e alle loro funeste conseguenze, non vengano utilizzate a scopo propagandistico proprio dai vertici delle fazioni terroristiche alla disperata ricerca di un sostegno internazionale.
La situazione in Medio Oriente sembra essere completamente sfuggita di mano al leader dell’Anp, al centro di un fuoco incrociato da parte dei fondamentalisti islamici e dei gruppi di resistenza armata di stampo laico che propendono sempre più per una ripresa di un confronto armato che sembra essere sempre più vicino.
Segnali di guerra, quindi, che confermano la totale mancanza del controllo dell’Anp sulle frange più estremiste egemoni nella Striscia di Gaza e che, già da mesi, stanno animando le continue violente mobilitazioni contro le truppe israeliane poste a guardia dei confini.
Ma l’attuale situazione della maggioranza dei palestinesi che vivono al di fuori della Striscia, impiegati in Israele o nelle colonie, quindi assai tiepidi nel considerare i progetti di “terza intifada”, non sembra favorevole ad una chiamata alle armi generalizzata.
Al di fuori della Striscia di Gaza, Hamas e Jihad islamica appaiono isolati e gli appelli alla ribellione sembrano destinati a cadere nel vuoto a meno di adesioni individuali che, comunque, non farebbero pendere l’ago della bilancia in favore della ripresa della lotta armata.