Nella serata di ieri, l’aviazione israeliana (Iaf) ha condotto un raid contro postazioni di miliziani della brigata sciita “al Quds” ad Aqraba, nella zona a sud est di Damasco.
I cacciabombardieri Stealth F-35 con la stella di David hanno neutralizzato una base dalla quale, secondo informazioni di intelligence, sarebbe dovuto partire un attacco con l’uso di “numerosi droni con esplosivo” contro il territorio israeliano.
Il blitz è stato confermato dal portavoce dell’Idf (Israel defence force), il generale Ronen Manelis, che ha sottolineato la necessità di fermare il rafforzamento delle forze filo-iraniane a ridosso dei confini con Israele e, soprattutto i piani di bombardamento con l’uso di droni stabiliti direttamente dal generale iraniano Qassem Soleimani, comandante della forza al Quds, responsabile delle operazioni all’estero dei Pasdaran.
In un successivo comunicato stampa, il premier Benjamin Netanyahu ha sostenuto che “l’Iran non e’ al sicuro da nessuna parte. Le nostre forze operano in ogni direzione contro l’aggressione iraniana. Continueremo a lavorare contro l’Iran e i suoi alleati con determinazione e responsabilita’ per la sicurezza di Israele” e, citando un brano del Talmud, ha sottolineato che “Se qualcuno si alza per ucciderti, uccidilo per primo”.
Ma l’attacco di ieri sera non è che l’ultima iniziativa di contrasto al consolidamento delle milizie iraniane in Siria ed Iraq, inizialmente votate a liberare il Paese dai seguaci del Califfato di Abu Bakr al Baghdadi, quindi riconvertite in veste di teste di ponte allo scopo di creare i presupposti per attacchi contro il nord di Israele secondo piani fortemente voluti dalla leadership iraniana.
Nella scorsa settimana, infatti, l’aviazione israeliana aveva condotto quattro diversi blitz contro depositi di missili iraniani di nuova generazione, accatastati nei pressi della base aerea di Balad nella provincia di Salahudin a circa 80 km a nord di Baghdad.
Gli attacchi hanno prodotto la distruzione di circa 50 missili che da Teheran erano stati trasportati in Iraq per “non meglio definiti scopi”.
È appena un’ovvietà rilevare che con una gittata di circa 500 chilometri, l’intento degli iraniani poteva essere rappresentato unicamente dall’utilizzo dell’arsenale contro Israele, così come chiarito dai comunicati dell’Israel defence force e, in sede politica, dall’assenso all’attacco israeliano concesso sia dagli Usa che dalla Russia, paesi interpellati in sede diplomatica.
Israele ha dovuto reiterare i suoi attacchi espandendo i target dalla Siria all’Iraq successivamente ad informazioni di intelligence che confermavano l’inizio del consolidamento da parte dell’Iran delle basi sciite al-Shawd al-Sha’bi fedeli all’Iraq, con il continuo accatastamento di missili in vista del loro successivo trasferimento in Siria e in Libano o, in alternativa, per il loro dispiegamento nell’Iraq occidentale.
A quanto risulta, proprio la campagna di attacchi mirati condotta da Israele è stata alla base della convocazione del generale Suleimani da parte dell’ayatollah Khamenei che avrebbe sollecitato il capo della forza al Quds a “colpire duramente Israele in segno di ritorsione ai blitz e come monito”.
L’iran continua ad essere nel mirino degli israeliani anche per il continuo appoggio, non solo in chiave ideologica, fornito alle fazioni terroriste di Hamas e della Jihad islamica. Alla fine del mese di luglio, infatti, una visita della delegazione di Hamas a Teheran, guidata da Salah al Aruri, aveva visto la partecipazione proprio del generale Qassem Suleimani, che aveva promesso di fornire alle milizie palestinesi “quanto necessario” per condurre attacchi contro Israele.