Se c’è un’immagine che più di tutte si ricorderà del primo viaggio in Israele del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, quella è di certo la fotografia che lo ritrae in preghiera al Muro Pianto con indosso il copricapo religioso ebraico, la kippah. E’ la prima volta nella storia che un presidente statunitense include nel proprio itinerario una visita a Gerusalemme est. Tutti i suoi predecessori hanno sempre preferito farne a meno, per evitare contatti con la zona che si trova in un “territorio occupato” palestinese. Tuttavia, per non urtare la sensibilità di Ramallah, Trump ha scelto di non farsi accompagnare da funzionari israeliani e si è raccolto in silenzio in preghiera, posando una mano sul muro e lasciando un biglietto fra le antiche pietre come da tradizione. Qualche metro più in là, nella parte destinata alle donne, la moglie Melania e la figlia Ivanka, con cui poco dopo avrebbe visitato privatamente la Chiesa del Santo Sepolcro.
In Medioriente nuove speranze di pace
I toni da campagna elettorale non ci sono più. Già dal suo arrivo all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, nella mattina di lunedì, Donald Trump è stato chiaro e conciliante: in Medio Oriente ci sono nuove speranze di pace. “Abbiamo davanti a noi una rara opportunità per portare sicurezza e stabilità in questa regione e al suo popolo – ha dichiarato – sconfiggere il terrorismo e creare un futuro di armonia e prosperità. Ma possiamo arrivarci solo lavorando insieme. Non c’è altro modo”. Il che significa, almeno per il momento, che probabilmente è preferibile far passare in secondo piano alcune delle promesse elettorali più discusse del Tycoon del Queens, prima fra tutte il controverso progetto di spostare l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme.
Stati Uniti mirano a riconciliazione tra arabi sunniti e Israele
Del resto, se l’intento di Trump è davvero la ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi dopo 20 anni di stallo con un ruolo attivo degli Stati Uniti, appare evidente che una simile decisione lavorerebbe esattamente in senso contrario, congelando il processo di pace e infiammando il conflitto nella regione. Non appena sbarcato dall’Air Force One – il primo velivolo proveniente dall’Arabia Saudita che atterra in Israele – Trump è stato accolto dal presidente dello Stato ebraico, Reuven Rivlin, e dal premier Benjamin Netanyahu. Il primo ministro ha espresso fin da subito la speranza che in futuro possa nascere un collegamento diretto tra Tel Aviv e Riad e il presidente Usa sembra averne consolidato l’aspettativa: “Sono incoraggiato dalle lunghe conversazioni avute in Arabia Saudita con i leader musulmani sunniti”, ha detto Trump. “Stanno capendo – ha aggiunto – di avere una causa comune con voi nella lotta contro l’espansionismo iraniano. E in effetti, gli Stati Uniti sembrano mirare a una riconciliazione tra il mondo arabo sunnita e Israele. Riconciliazione, però, che secondo Washington, non può prescindere da un accordo di pace con i palestinesi.
Iran non avrà mai permesso per arma nucleare
Come era prevedibile, Teheran è stata al centro dei discorsi di Trump durante la sua visita in Israele. “All’Iran non sarà mai permesso di possedere un’arma nucleare”, ha ribadito il leader Usa all’incontro con il presidente Rivlin. “L’Iran deve fermare il suo finanziamento, addestramento ed equipaggiamento di terroristi e milizie”, ha continuato. Poi, un duro attacco all’accordo sul nucleare raggiunto con i paesi del gruppo 5+1 (Stati Uniti, Russia, Francia, Cina, Gran Bretagna + la Germania) definito “orribile” perché “ha garantito a Teheran “ricchezza, prosperità e la possibilità di andare avanti con il terrorismo”. Netanyahu ha apprezzato l’impegno del presidente Usa. “Il dialogo con Trump è stato proficuo”, ha dichiarato, con lui “ci capiamo al volo” e “ammiriamo enormemente il cambiamento avvenuto nella politica (statunitense, ndr) nei confronti dell’Iran”. “Sono sicuro che l’alleanza tra Israele e Stati Uniti crescerà in forza”, ha aggiunto il primo ministro dello Stato ebraico precisando che “Israele condivide il suo impegno per la pace e tende la mano ai palestinesi”.
L’incontro con Abbas
Del processo di pace in Medio Oriente Trump ha parlato martedì a Betlemme con il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Mahmoud Abbas. “Sono impegnato a cercare di raggiungere un accordo tra le parti: farò tutto il possibile per aiutarli”, ha detto il presidente Usa durante la conferenza stampa con il leader dell’Anp. Il presidente Abbas – ha continuato – mi ha assicurato di essere pronto a lavorare in buona fede per un accordo di pace e il premier Netanyahu ha fatto lo stesso”. Dal canto suo, il leader di Ramallah ha di nuovo sostenuto la soluzione dei due Stati per la fine del conflitto in Medio Oriente, che implica la creazione di uno Stato palestinese indipendente. “Ribadisco una volta di più la nostra posizione – ha dichiarato – quella dei due Stati secondo le frontiere del 1967 e uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme est, che viva a fianco di Israele nella pace e nella sicurezza”. Poi si è rivolto a Trump con un auspicio: “Spero tu sia ricordato nella storia come il presidente che ha ottenuto la pace tra israeliani e palestinesi”. Abbas, inoltre, ha sottolineato che “il conflitto con Israele non è di natura religiosa” e si è detto pronto al “dialogo con gli israeliani”.
I problemi di Israele e l’appello di Trump per la pace
“I nostri problemi riguardano l’occupazione, gli insediamenti e il rifiuto di Israele di riconoscere il nostro Stato”, ha aggiunto. Il leader dell’Anp ha infine ricordato i palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane, tuttora in sciopero della fame, e ha chiesto al governo di Tel Aviv che siano trattati “con umanità”. “Nei Territori palestinesi – ha concluso – devono essere costruiti ponti, non muri”. Tornato da Betlemme, Trump ha visitato il Museo dell’Olocausto a Gerusalemme e qui ha lanciato un nuovo appello per la pace nella regione prima di partire alla volta di Roma. A sette mesi dalla sua elezione, il presidente degli Stati Uniti fa il suo ingresso sulla scena internazionale con un’agenda politica talmente ambiziosa da non lasciare spazio a tweet irriverenti o commenti fuori luogo. In Medio Oriente vince l’arte della sottigliezza. E dell’impertinente miliardario del Queens che lo scorso novembre ha conquistato la Casa Bianca, neppure l’ombra. Che davvero possa riuscire dove Obama ha fallito?