La capitale dello Stato islamico, Raqqa, sarebbe ormai prossima alla liberazione. È iniziata quella che viene definita la “grande battaglia” per la riconquista della roccaforte dell’Isis, dove le forze democratiche siriane (Sdf), l’alleanza multietnica e multireligiosa coordinata dall’Unità di protezione popolare curda (YPG), sarebbe pronta ormai ad entrare in città dal suo lato orientale. “Dichiariamo oggi l’inizio della grande battaglia per liberare Raqqa, la capitale del terrorismo”, ha dichiarato il portavoce dell’Sdf, Talal Sello, in un colloquio con i giornalisti in un villaggio a nord della capitale dello Stato islamico. Questo è l’atto finale di un assedio che ormai va avanti da mesi, nel tentativo di espugnare la roccaforte e sconfiggere i guerriglieri jihadisti rinchiusi al suo interno e circondati dall’alleanza arabo-curda da ben tre lati. L’attacco viene sferrato dopo giorni di intensi bombardamenti sulla città, che hanno provocato nei giorni scorsi diverse decine di morti civili.
La cattura di Raqqa
La cattura di Raqqa è il culmine dell’operazione Ira dell’Eufrate, lanciata nel novembre 2016 dalla coalizione arabo-curda proprio con l’obiettivo di riconquistare la capitale dei jihadisti. Un’operazione che però non avrebbe potuto avere luogo senza il prezioso supporto dell’alleato americano, materializzatosi con forniture di armi, supporto aereo e fornitura di consiglieri militari sul campo per meglio coordinare le offensive. Mentre alcune truppe Sdf risultano essere già entrate in città, diversi militari e civili sembrano essere già fuggiti. Civili che sono comunque stati oggetto di attacchi aerei da parte della coalizione coordinata dagli Stati Uniti: 21 di loro hanno trovato la morte in un raid aereo mentre tentavano di abbandonare la città, ha denunciato l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Altre 12, invece, avrebbero perso la vita in una serie di raid lanciati ieri dalla coalizione sulla città.
Le morti civili
Un trend, quello delle morti civili, che ha conosciuto un’impressionante ascesa sotto l’amministrazione di Donald Trump. Sono infatti almeno 332 le morti civili causate dai raid aerei della coalizione nel solo bimestre marzo-aprile, stando a quanto dichiarato nell’ultimo rapporto diffuso dal dipartimento della Difesa americano. Un numero raggiunto in soli due mesi di attacchi aerei, che se confrontato con le circa 150 uccisioni civili registrate dal novembre 2014, restituisce la diversità dell’impegno dell’amministrazione Trump in Siria rispetto a quanto messo in opera dal suo predecessore Obama. Secondo alcune organizzazioni non governative, come AirWars, un osservatorio sulle operazioni militari in Siria e Iraq composto da giornalisti, gli Stati Uniti avrebbero sensibilmente abbassato i propri standard di sicurezza per evitare di colpire civili nelle zone da liberare dall’Isis, allo scopo probabilmente di avere risultati più immediati e visibili.
Dal Pentagono la risposta però non si è fatta attendere, spiegando l’aumento delle morti civili con l’incremento delle operazioni in zone molto più densamente popolate rispetto al passato.
Ma, secondo la stessa organizzazione, anche la stima di vittime fornita da Washington non sarebbe esatta. Se per la Difesa a stelle e strisce le morti sarebbero 484 dall’inizio delle operazioni (circa tre anni), per AirWars esse supererebbero le 3800 unità. Numeri estremamente alti, destinati inevitabilmente a salire con l’avvicinarsi della conquista della capitale dello Stato islamico.