Israele potrebbe decidere di riprendere nella strategia degli omicidi mirati. Secondo quanto hanno riferito fonti accreditate, l’obiettivo sarebbero i leader jihadisti impegnati a fomentare le continue rivolte contro lo Stato ebraico, soprattutto nella zona di confine con la Striscia di Gaza. Nel mirino del Mossad vi sarebbero i responsabili politici e militari della Jihad islamica palestinese e di Hamas. I vertici di Hezbollah in Libano con le loro propaggini in Siria, invece, avrebbero di recente patito la prematura scomparsa di alcuni dei loro ufficiali a causa dei bombardamenti su obiettivi specifici individuati nella zona di Damasco e compiuti nelle scorse settimane. La pianificazione e l’esecuzione di omicidi mirati è una strategia non certo nuova per il pragmatico servizio segreto israeliano. Secondo quanto riferito dalle fonti, è stata riproposta come “extrema ratio” dopo i continui attacchi ai confini con la Striscia di Gaza e le violenze perpetrate in danno di coloni, che da mesi si susseguono ad opera di estremisti palestinesi legati alle fazioni terroriste.
La situazione nella Striscia di Gaza
In relazione alla situazione di Gaza, nella giornata di giovedì ha avuto luogo un incontro tra la leadership del movimento di Hamas e quella della Jihad islamica. Al termine è stato emesso un comunicato congiunto per un impegno comune nel perseguire gli obiettivi di resistenza attiva all’esercito israeliano, anche attraverso azioni sinergiche tra i due gruppi. Inoltre, è stato stabilito di proseguire nelle manifestazioni legate alla cosiddetta “marcia del ritorno” lungo i confini della Striscia di Gaza allo scopo di rompere l’isolamento infrangendo i confini con Israele. I due leader, Ismail Haniyeh per Hamas e Ziyad al Nakhaleh per la Jihad islamica, hanno sottolineato la fondamentale importanza di raggiungere una reale unità politica e militare dei palestinesi per fare fronte comune contro il nemico sionista. E proprio i due leader delle fazioni terroriste palestinesi sarebbero nel mirino del Mossad. Al Nakahleh, residente a Beirut, è stato eletto segretario generale del movimento lo scorso settembre anche in virtù dell’appoggio di alcuni sostenitori di Hezbollah e dei Pasdaran iraniani. Il legame tra il leader della Jihad islamica e il comandante del Corpo delle guardie rivoluzionarie iraniane, Qasem Soleimani, è considerata una seria minaccia per Israele che ritiene questa alleanza come l’ennesimo tentativo di allargare l’influenza iraniana nella regione e trasformare la Striscia di Gaza in un ulteriore fronte di guerra per lo Stato ebraico.
Il reclutamento di ex ribelli sciiti da parte di Hezbollah
E le preoccupazioni israeliane non sono assolutamente ingiustificate. Secondo il Wall Street Journal, il movimento libanese Hezbollah è impegnato nel reclutamento di ex ribelli sciiti che hanno combattuto a fianco delle truppe russe contro l’Isis fino alla caduta di Dera’a, una città simbolo per il Daesh. Le fonti citate dall’autorevole quotidiano americano parlano di circa 2.000 miliziani arruolati nelle fila di Hezbollah che potrebbero essere dislocati nel sud della Siria, ai confini con Israele. Il governo di Netanyahu ha più volte chiarito che una presenza di truppe sostenute da Teheran nella zona a cavallo tra i due Stati è inaccettabile e sarebbe fonte di pericolose crisi con il rischio di un’escalation militare.
Secondo l’inviato degli Usa in Siria, Joel Rayburn, il reclutamento di miliziani da parte di Hezbollah e il loro invio nel sud della Siria è “una prospettiva altamente destabilizzante”. Ma non solo. L’ipotesi di un rafforzamento della presenza di Hezbollah lungo il confine con la Giordania, vicino alle Alture del Golan e a Israele, provocherebbe un “aumento della possibilità di conflitto”.