Dopo la cocente sconfitta patita negli 11 giorni “di fuoco” nel mese di maggio, in Medio Oriente Hamas si rianima grazie a Bitcoin e Iran.
La flebile tregua raggiunta con la mediazione egiziana tra Israele e i terroristi di Hamas potrebbe, infatti, avere avvantaggiato le fazioni di Gaza permettendo loro un rapido riarmo, anche grazie alla raccolta fondi e al decisivo intervento iraniano.
Tra le varie compagini filo palestinesi impegnate nella rivolta, Hamas si distingue per l’impegno profuso nella campagna di raccolta di donazioni per la quale utilizza la webpage http://fund.alqassam.ps/mid/ con la quale opera in sinergia con il sito https://saraya.ps , quest’ultimo più votato alla propaganda e al reclutamento online di volontari da integrare nelle milizie.
Le donazioni in favore delle fazioni terroristiche a Gaza avvengono per lo più con l’ampio utilizzo del Bitcoin, criptovaluta che ultimamente ha raggiunto una diffusione ampissima grazie alla struttura denominata peer – to peer della rete Bitcoin che garantisce l’impossibilità di qualsiasi intervento delle autorità, anche governative, il sequestro dei valori virtuali, il blocco delle transazioni o eventuale misure mirate a inflazionare il fertile mercato.
Non è da sottovalutare l’ampia rete di collegamenti di cui godono i terroristi di Hamas, diffusa in Europa grazie alle insensate politiche di accoglienza dei Paesi dell’UE che hanno permesso il radicamento sul territorio continentale di vere e proprie comunità di estremisti di estrazione islamista votati alla “causa palestinese”.
In Germania, paese inflazionato da presenze oscure, la foltissima rete di “rifugiati” palestinesi ha da tempo stabilito basi logistiche per il sostegno al terrorismo mediorientale.
Presso le università, insospettabili studenti ricoprono ruoli apicali nelle gerarchie dei gruppi stanziati sul Continente. Alcuni di loro, sfruttando lo status ottenuto, hanno dato vita ad attività di raccolta fondi per la “causa” avvalendosi delle criptovalute e utilizzando dati anagrafici fittizi, ottenendo ingenti profitti che, almeno ufficialmente, vengono dirottati a Gaza.
Nella capitale della Striscia, la sede individuata come base per le attività è proprio la Jawhara Tower, dove si trova la Atyaf.co, proprietaria del dominio http://Saraya.ps utilizzato per le transazioni.
La atyaf.co è formalmente impegnata, per l’appunto, nella creazione di website e varie applicazioni per la telefonia, ed è stata oggetto di un “inopportuno bombardamento” con preavviso da parte dell’Israel defence force lo scorso 14 maggio che, probabilmente, ne ha indebolito le potenzialità.
Le prospettive di finanziamento, riarmo e reclutamento per le milizie terroriste passano, infatti, proprio per il web.
Sul sito Saraya.ps, sono tuttora visibili immagini di minorenni armati ed equipaggiati di tutto punto per entrare in azione e la recente campagna di adesione ad Hamas, ampiamente pubblicizzata sui social network, è stata rivolta anche formalmente ai giovani “da 17 a 25” anni.
Non sono state poche le adesioni dei minori sostenute dalle stesse famiglie dei futuri “martiri” che, proprio in virtù del sostegno economico dei gruppi terroristici, scrutano le opportunità di uno spietato lucro sulla pelle dei propri figli.
I leader di Hamas, dalle 5 stelle di Doha alle 5 stalle di Gaza
Ma tutto questo non scuote gli animi dei leader terroristi che, ben lungi dal condividere coi “gazani” le sofferenze, preferiscono continuare la loro latitanza tra hotel di lusso e passatempi all’estero, non disdegnando di “confortare” la popolazione con proclami di vittoria e rinnovando le minacce contro Israele.
Tra loro si distingue Yahia Sinwar, leader di Hamas nella Striscia di Gaza che, negli ultimi giorni, è apparso ripetutamente in video conferenze, ovvero monologhi, nel corso dei quali, tra gli altri deliri, ha esternato pubblicamente l’utilizzo di infrastrutture civili di Gaza per scopi militari, un fatto già rilevato dalle Forze israeliane che hanno reso pubbliche alcune riprese effettuate sugli obiettivi colpiti durante gli 11 giorni di combattimento nel mese di maggio.
Tra questi, anche una scuola di Gaza, dove era stata installata una piattaforma per il lancio di razzi contro il territorio israeliano utilizzata senza alcuno scrupolo dai miliziani di Hamas.
Anche Ismail Hanyeh, capo politico di Hamas, dopo le vacanze a Doha, non si è risparmiato nel proclamare la vittoria contro Gerusalemme ringraziando l’Iran per l’aiuto determinante fornito alle milizie contro il comune nemico sionista.
Il ruolo iraniano
In effetti, Teheran sta producendo, probabilmente, il massimo sforzo nella corsa agli armamenti sia all’interno dei propri confini, nonostante i numerosi inspiegabili incendi presso alcuni poli industriali, sia anche con proiezione all’estero, in Siria, Libano e Gaza. Convogli di armi e munizioni dall’Iran verso Damasco sono stati, infatti, individuati da droni-spia israeliani sulla direttrice Iran-Iraq-Siria.
A seguito dei rilievi, è stata accertata la destinazione dei materiali e individuati i siti per le rampe lanciamissili in avanzata fase di costruzione nella zona del Golan, in virtù della stretta collaborazione tra le forze siriane, la Forza Quds iraniana, e i miliziani di Hezbollah.
Alcune delle nuove postazioni costruite ed appena inaugurate, sono state oggetto, la notte scorsa, di un bombardamento mirato da parte dell’aviazione dello Stato ebraico con l’utilizzo degli F16 che ne hanno subito inertizzato il potenziale.
Inoltre, i raid israeliani, hanno colpito numerose rotte seguite dalle forze iraniane per il rifornimento in favore dei miliziani di Hezbollah in Libano.
In particolare, sempre nella scorsa serata, sono state colpite le basi di Homs, Quneytra, Tartus e Damasco, dove erano stati accatastati i munizionamenti in attesa del trasporto.
Nonostante i rovesci subiti, quindi, i gruppi terroristi di Gaza, Siria e Libano, sembrano comunque intenzionati a rinvigorire lo sforzo “bellico”, in accordo con i sostenitori iraniani.
Da quanto emerso pare, infatti, che l’alleanza trasversale tra milizie sciite, sunnite e laiche, seguano una strategia improntata a un tentativo di stringere Israele in una morsa, con l’apertura di fronti di minaccia che vanno dai confini settentrionali a quelli a sud ovest, non disdegnando di fomentare il caos anche nella Capitale israeliana, Gerusalemme.