La penisola arabica e il Medio Oriente sono storicamente due zone dove l’instabilità politica è una realtà quotidiana. Nelle ultime 48 ore, però, questa tendenza ha subito una accelerazione con la nascita di nuove tensioni, anche se non del tutto inaspettate.
Le dimissioni del premier libanese Saad al-Hariri, che hanno colto di sorpresa l’opinione pubblica, appaiono come un segnale di svolta nella gestione degli affari interni nel mondo arabo. La considerazione consegue agli avvenimenti successivi alla comunicazione che al-Hariri, in visita a Riad, ha volutamente fatto solo a mezzo telefono al presidente libanese, Michel Aoun, e che ha giustificato con non meglio descritte minacce alla propria vita, provenienti da membri di Hezbollah, che sarebbero pervenute al suo staff.
Infatti, nelle stesse ore in cui il premier libanese “formalizzava” la decisione di dimettersi, un vettore balistico proveniente dallo Yemen e diretto all’aeroporto King Khalid di Riad, veniva abbattuto dalla contraerea saudita con il sistema anti-missile Patriot, fornito dagli Usa.
I responsabili del lancio del missile Scud, modificato artigianalmente e ribattezzato Burkan 2, sono stati immediatamente indicati nei ribelli Houthi, sostenuti dall’Iran che combattono contro il regime sunnita dello Yemen guidato da Abd Rabbih Manṣūr Hādī e sostenuto dai sauditi, in una guerra civile iniziata nel 2015.
Immediata la reazione dei sauditi che, in un comunicato dell’agenzia di stampa Spa, hanno asserito che il lancio del missile è una ”evidente aggressione militare da parte delle milizie houthi controllate dall’Iran” e da questi riforniti di armamenti e il gesto viene considerato come un atto di guerra contro l’Arabia Saudita, configurandosi come una violazione della risoluzione 2216 del consiglio di sicurezza dell’Onu che vieta la fornitura di armi ai gruppi armati yemeniti.
Blitz della polizia saudita
Ma lo strano sabato della penisola arabica non ha smesso di fornire spunti eclatanti. Infatti, dietro precisa indicazione del principe Mohammed bin Salman, membro della commissione anti-corruzione insediatasi a Riad il giorno prima, la polizia saudita effettuava decine di arresti tra esponenti del governo, ex politici e membri delle dinastie del Paese arabico. Tra gli arrestati nomi eccellenti quali il principe al-Waleed bin Talal, noto esponente dell’alta finanza, e Bakr bin Laden, presidente del gruppo Saudi Binladin e fratello del defunto Oussama. Oltre alle misure di arresto, la commissione provvedeva al ritiro dei mandati al capo della Guardia Nazionale, e al capo di stato maggiore della Marina.
Il consolidamento del potere da parte di Mohammed bin Salman, erede al trono dell’Arabia Saudita dal luglio scorso, sembra essere alla base dei provvedimenti restrittivi nei confronti di esponenti politici e notabili del Regno, anche in un’ottica di profondo revisionismo di tutta la politica saudita e dello spirito di innovazione che ha sempre mosso non solo il giovane principe, ma soprattutto il padre, Salmān bin ʿAbd al-Azīz Āl Saʿūd, iniziatore della modernizzazione del Paese, seppur nei limiti consentiti dalla sacralità del territorio saudita derivante dal credo islamico conservatore.
Elicottero che trasportava 8 funzionari governativi si è schiantato al suolo
Poche ore dopo il repulisti ordinato da bin Salman, un altro avvenimento ha scosso l’Arabia Saudita. Un elicottero che trasportava 8 funzionari governativi si è schiantato al suolo ad al Abha, non lontano dal confine con lo Yemen. A bordo, tra gli altri, anche il principe Mansour bin Muqrin Al Sa’ud, membro della famiglia reale, politico e, soprattutto, imprenditore saudita.
L’evento, seppur non accomunabile agli altri, almeno in apparenza, fa seguito ai fatti che hanno caratterizzato le convulse ore del week-end saudita che pongono in risalto la figura dell’erede al trono del Paese e, soprattutto, ribadiscono una rinvigorita presa di posizione del regime saudita nei confronti del nemico di sempre, l’Iran.
La posizione del leader di Hezbollah
Successivamente alle dimissioni di al-Hariri, il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah in un’intervista televisiva, ha attaccato l’Arabia Saudita sostenendo che le dimissioni del primo ministro libanese erano una decisione voluta dai sauditi e non un’iniziativa della sua fazione. Ribadendo di non avere a che fare con questioni interne libanesi, ma “in questo vorremmo eccettuare”, Nasrallah rassicurava il popolo libanese “che le sue milizie non intendono prendere alcuna iniziativa che possa destabilizzare il Paese”.
La situazione in Libano
Le dimissioni di al-Hariri, sostenute innegabilmente dai sauditi, rivelano la strenua speranza del “blocco sunnita” rivolta a una ricaduta delle responsabilità su Hezbollah, che si troverebbe ad affrontare in prima persona la recessione economica del Libano e la gestione di un milione e mezzo di profughi siriani.
Il Libano da tempo risente delle limitazioni in politica estera e della sicurezza interna, dovute alla presenza di membri sciiti all’interno della coalizione alla guida del Paese che, in quanto membri di Hezbollah, sono conseguentemente succubi della governance iraniana, anche e soprattutto in chiave anti-israeliana.
Se gli avvenimenti di questi giorni segnano una nuova era di instabilità per il Medio Oriente, offrono, comunque, lo spunto per confermare come gli interessi occidentali e, soprattutto di Israele, coincidano con quelli dei Paesi a maggioranza sunnita, tra tutti Giordania e Arabia Saudita, protesi in un ampio processo di riforma, che intendono opporsi all’espansionismo iraniano nella già instabile area.