Da più di un mese Aleppo, seconda città della Siria, è sotto il fuoco incrociato delle milizie ribelli e dei soldati governativi che si fronteggiano per il controllo dei suoi quartieri orientali. Quella che è stata definita dal presidente Bashar al Assad “la nostra Stalingrado” è una città in macerie dove ogni giorno si contano decine di morti. La situazione nelle zone orientali della città, sotto il fuoco incessante dei jet russo-siriani, è al collasso. “La madre di tutte le battaglie”, così è stata soprannominata quella per Aleppo, città strategica, crocevia di armi e traffici più o meno leciti.
Chi prende Aleppo prende la Siria. Nonostante l’assedio delle truppe governative, le milizie ribelli e islamiste continuano a resistere, complice il complesso sistema di tunnel realizzati nel corso degli anni a difesa delle loro posizioni. Una tragedia umanitaria il cui simbolo è la foto del volto triste e impaurito del piccolo Omran. L’immagine, che ha fatto il giro del mondo, ha riacceso i riflettori sulla tragedia del popolo siriano e ha costretto governi e organizzazioni internazionali a chiedere un immediato cessate il fuoco. L’inviato speciale dell’Onu, Staffan de Mistura, è tornato a chiedere una tregua di 48 ore per permettere l’attività della sua task force umanitaria. L’appello, rivolto a tutte le parti in lotta e ai loro sponsor internazionali, è stato accolto dalla Russia che ha annunciato lo stop all’attività militare dei suoi bombardieri per permettere ai soccorsi di raggiungere le zone più colpite. Una tregua rotta, però, dal lancio di missili da crociera da navi russe su alcune città del nord della Siria. Dalle 14 ora locale (le 13 in Italia) del 23 agosto, le forze curde siriane e le forze del regime di Damasco, hanno raggiunto un accordo dopo una settimana di violenti scontri a Al Hasaka.
Mentre le speranze di una tregua duratura sembrano ridursi giorno dopo giorno, la nuova ondata di violenze ad Aleppo riaccende il dibattito sulla stampa internazionale. Sui principali quotidiani anglosassoni, l’immagine strappalacrime del piccolo Omran ha suscitato sdegno. Il The Guardian, storico giornale liberal britannico, auspica una nuova fase per la Siria, chiedendo al gabinetto May di farsi portavoce di una no-fly zone per aerei e elicotteri siriani sulle zone di guerra. Più radicale il New York Times, che in un editoriale del 3 agosto scorso, auspica un intervento militare punitivo, da parte dell’amministrazione Obama, contro il governo di Bashar al Assad per le ripetute violazioni del cessate il fuoco. Proposte provocatorie a cui fanno da contraltare gli editoriali apparsi sulla stampa russa, che invece sottolineano lo sforzo dei governi russo e siriano nella lotta al terrorismo qaedista. Dal sito internet di Russia Today volano accuse pesanti contro i colleghi occidentali, colpevoli di aver sfruttato l’immagine straziante del piccolo Omran, e dei bambini siriani vittime delle violenze, per portare acqua al mulino della “War agenda occidentale”. Più delle beghe giornalistiche, a suscitare interesse nelle ultime ore è il coinvolgimento sempre più significativo della Cina nella road map per la pace in Siria. Secondo il sito newyorkese The Fiscal News, Pechino avrebbe deciso di intraprendere un ruolo più attivo nella disputa siriana. I cinesi avrebbero offerto al governo di Damasco assistenza umanitaria e addestramento militare per le truppe lealiste in funzione principalmente anti terroristica. Un bel grattacapo per l’amministrazione Obama, che vedrebbe drasticamente diminuita la sua influenza nell’area, a favore dell’alleanza multipolare Cina- Russia-Iran, suoi rivali sia nel campo geopolitico ma anche in quello economico-commerciale. Da guerra civile a terreno di scontro tra superpotenze, questo è il destino della Siria, paese straziato da un conflitto per procura che in cinque anni ha provocato 500.000 morti.