Macron: un presidente allo sbando e con lui l’intera Unione Europea.
Quella di Emmanuel Macron molto probabilmente passerà alla storia come la peggiore presidenza che la Francia abbia avuto dalla fine della WWII.
In pochi anni ha vanificato quanto i suoi predecessori hanno a vario titolo, nel bene e nel male, in qualche modo costruito, e lo ha fatto commettendo una inenarrabile serie di assurdi errori strategici che lo hanno portato:
- a far perdere alla Francia il contenzioso in piedi da sempre per la leadership europea con la Berlino di una Angela Merkel sicuramente non alla sua portata, salvo cercare di rappezzare il tutto quando era oramai troppo tardi sottoscrivendo con la Germania, agli inizi del 2019 e con ben sei anni di anticipo sulla originaria tabella di marcia, il Trattato di Aquisgrana;
- a fa perdere al suo Paese la partita nordafricana giocata appoggiandosi a suo tempo in Libia a quel Gen. Haftar che, da opportunista pluri-giochista quale è sempre stato, alla fine gli si è rivoltato contro preferendo apparentarsi ai ben più seri, affidabili e coerenti emissari della Federazione Russa e della Turchia;
- a far mettere la Francia alla porta da tutta la Francafrique, con quello che questo ha comportato, comporta ed ancor più comporterà dal punto di vista energetico e militare (quindi sul piano economico e strategico) per la Francia ed i Francesi tutti;
- ad aver pressoché azzerato la credibilità della Francia in ambito internazionale viste le sue incongruenti innumerevoli continue puntate su diversi tavoli da gioco geopolitici a cominciare da quello Cinese, per poi passare, dopo varie peregrinazioni, a quello statunitense salvo poi, alla fine, appiattirsi su quello di una Gran Bretagna che allo stato attuale non è dato capire a che gioco stia realmente giocando.
Rendono ampia testimonianza a questo ben triste quadro diverse dichiarazioni che si segnalano per la loro superficialità, incongruenza, contraddittorietà, velleitarismo e a tratti perfino scarsa conoscenza della storia dei rapporti tra la Francia e gli Stati Uniti, come pure tra la Francia ed i partner europei e tra Parigi e la stessa NATO fin dai tempi di De Gaulle, passando per un apparentamento con il Regno Unito che in questi giorni si tinge oltremodo di assurdo dopo decenni, ma che dico, dopo secoli di quella constante inimicizia e dura competizione che ha visto i due Paesi realmente alleati solo quando si è trattato di contrastare il terzo incomodo apparso sulla scena politica continentale: quella Germania che ha richiesto ben due Guerre Mondiali per essere ridotta a più miti consigli se non altro fino alla caduta del Muro di Berlino.
Un qualcosa che quanto accaduto poco più di una decina di giorni fa, allorché il 6 Marzo 2025 Macron si è visto pubblicamente costretto a sottolineare e riaffermare con vigore la costante leale militanza della Francia nella NATO per dimostrare l’infondatezza dei ripetuti dubbi sollevati a riguardo da Donald Trump–, ha incontrovertibilmente palesato quel suo volersi ostinare a ribadire una fedeltà all’Alleanza Atlantica mai stata tale, per somma infarcendo la propria arringa difensiva di patetiche omissioni e travisamenti vari che hanno toccato il loro apice allorché lo stesso Macron, giusto per portare acqua al proprio scalcagnato mulino, si è visto costretto a menzionare quel marchese Gilbert du Motier de La Fayette che nel XIX secolo combatté sì da Maggiore Generale dell’esercito americano contro gli Inglesi durante la guerra rivoluzionaria, ma non per le ragioni millantate da Macron.
Ed infatti proprio citando il giovane intraprendente aristocratico, opportunista ed ambizioso francese, l’inquilino dell’Eliseo ha ottenuto, per ignoranza dei fatti, il risultato diametralmente opposto che avrebbe evitato se solo avesse ricordato come fu che il La Fayette si trovò ad intrecciare la propria vicenda personale con la Guerra d’Indipendenza Americana.
Tutto, come noto, prese il via nel 1775 allorché il diciottenne francese, grazie alla sua partecipazione alle esercitazioni annuali della propria unità a Metz (era tenente dei dragoni del reggimento comandato dal suocero Noailles), ebbe modo di incontrare Charles-François de Broglie, marchese di Ruffec, comandante dell’Esercito dell’Est con il quale ebbe a discutere della recente rivolta contro il dominio britannico avviata dalle Tredici colonie nordamericane: un qualcosa che non poco infiammò lo spirito del giovane per quel suo profondo odio per quegli Inglesi che, rei di avergli ucciso il padre, qualora sconfitti in Nord America avrebbero visto non poco ridimensionata la statura internazionale della propria nazione e messo al riparo i possedimenti francesi d’oltremare da quelle mire dei Britannici che avrebbero tratto nuova forza dal loro eventuale prevalere sui ribelli americani.
Un pensiero ed un sentire che trovarono la loro giusta forma e debita sostanza l’anno seguente, nel 1776, grazie alle delicate trattative intavolate da Luigi XVI e dal suo Ministro degli Esteri, il conte Charles Gravier, con agenti americani (tra cui Silas Deane), —trattative il cui avvio trasse la propria ragion d’essere dalla persuasione condivisa dal Re e dal suo Ministro che il fornire armi e ufficiali agli Americani avrebbe messo questi ultimi nella felice condizione di sconfiggere i Britannici e di conseguenza consentito alla Francia, come intuito dal La Fayette, di ripristinare la sua influenza in Nord America vendicando, nel contempo, pure la sconfitta patita nella Guerra dei Sette Anni—, ma che proprio per questo mai e poi mai avrebbero potuto costituire, a posteriori, il presupposto legittimante certe recenti dichiarazioni di Macron che di fatto lasciano il tempo che trovano soprattutto nel momento in cui il Presidente francese ha ritenuto suo diritto affermare, con una assertività e perentorietà degne di miglior causa, che poiché la Francia, a suo dire, avrebbe dimostrato dimostrato “rispetto e amicizia” nei confronti degli Stati Uniti fin dagli albori di questi ultimi, è ora legittimo che Parigi rivendichi a buon diritto un similare trattamento da parte di Washington.
Un concetto espresso, per somma, con le, a questo punto, alquanto perentoriamente altezzose e, per tutto quanto visto, risibili, e destituite di ogni fondamento storico, improvvide parole rivolte pubblicamente al Presidente Donald Trump.
Parole che si segnalano non solo per il loro essere decisamente degne di miglior causa (“Penso che abbiamo il diritto di aspettarci lo stesso”), ma pure per essere state indirizzate ad un Donald Trump decisamente ben poco incline a farsi abbindolare dalle retoriche populiste di una storiografia ufficiale francese alquanto addomesticata da decenni di mitizzazione di quella Rivoluzione Francese che nel concreto con il motto “Liberté, Égalité, Fraternité” ha da sempre avuto ben poco a che spartire, se solo si considera la politica imperialista della Francia napoleonica prima, nonché colonialista e neocolonialista, poi, posta in essere da Parigi fino a qualche tempo fa, come del resto testimoniato ampiamente da quanto avvenuto in Algeria ed in Indocina ancora dopo la WWII, nonché ostinatamente perseguito nella a noi più prossima guerra di Libia e fino a qualche tempo fa in tutta la Francafrique.
A parziale discolpa di Macron vi è da dire che il suo risentimento nei confronti degli Stati Uniti per le prese di posizione ed i richiami di Trump nei confronti dei partner europei, e della Francia in particolare, avrebbe potuto trarre ben altra legittimazione se lo stesso avesse posto giustamente l’accento su ben altri accadimenti a cominciare dalla sottolineatura di tutto quanto ha fatto da sfondo all’attentato al Nord Stream 1&2, nonché significando che, a conti fatti, anche Trump ben poco avrebbe a pretendere se solo si fosse peritato di ricordare con quali armi i combattenti vietnamiti sconfissero definitivamente la Francia nella battaglia di Dien Bien Phu del 1954 il cui esito decretó l’uscita di scena della Francia dall’Indocina ed il subentro degli USA: tanto per non parlare delle manovre statunitensi che dopo la fine del Secondo Conflitto Mondiale portarono alla messa alla porta del Regno Unito dal Medioriente a tutto vantaggio degli Stati Uniti.
Purtroppo in questo particolare frangente storico in Occidente tutti parlano decisamente troppo in quanto troppi sono i panni sporchi che andrebbero lavati in separata sede se solo si pone attenzione a quanto accaduto in Europa a causa della ambiziosa politica francese ossessivamente volta a strappare dalle mani della Germania la leadership continentale, nonché a causa di quella statunitense volta a minare ogni proposito genuinamente autonomista dei Paesi Europei, come ampiamente documentato in un lungo lavoro pubblicato in tre parti I, II e III nell’Agosto del 2023 con il significativo titolo “Paris burns, but who is the arsonist?”.
Alla fine il quadro complessivo che emerge da tutto quanto qui proposto è a dir poco desolante ed ancor meno edificante trattandosi della triste storia di una pseudo alleanza che meglio farebbero gli Stati Uniti, la Francia, la Germania, il Regno Unito, l’Italia ed i restanti partner europei ad affrontare giocando finalmente a carte scoperte prima che sia troppo tardi evitando prese di posizione assurde, come quelle che al momento vedono la sterile contrapposizione di una Europa allo sbando e di un’America che per bocca del suo Presidente il 6 Marzo ha sollevato non pochi dubbi sulla possibilità che Washington difenda i suoi alleati della NATO qualora questi non pagassero quanto da lui ritenuto il minimo indispensabile per la propria difesa in barba all’art. 5 in quanto, come ha detto, tanto a dettarlo “È il buon senso”, aggiungendo: “Se non pagano, non li difenderò. No, non li difenderò”.
In realtà la dichiarazione di Trump non va letta alla lettera, ma piuttosto come una misura volta a bloccare qualsiasi iniziativa che possa configurarsi come una interferenza nella sua politica estera per quello che riguarda i rapporti in divenire con Mosca: tanto alla luce delle prese di posizione dei Paesi Europei sulla questione ucraina. Il monito lanciato agli Europei è di fatto una rassicurazione data a Putin circa il fatto che Mosca non deve preoccuparsi degli Europei perché qualsiasi cosa facciano gli Stati Uniti non interverranno.
La conferma di questa lettura dei fatti, qualora vi fossero dei dubbi, è giunta anche dal Segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth, che lo scorso mese ha dichiarato che non solo Washington non avrebbe partecipato ad una potenziale forza di pace in Ucraina, ma che non sarebbe intervenuta in difesa di qualsiasi Paese della NATO che l’avesse fatto qualora attaccato dalla Russia. E poco importa che il candidato ambasciatore alla NATO, Matt Whitaker, ha dichiarato durante l’udienza di conferma del 5 marzo che l’impegno degli Stati Uniti nei confronti dell’alleanza Nato e dell’art. 5 sarà “ferreo”: ferreo se saranno toccati gli interessi statunitensi del nuovo corso.
Tutte dichiarazioni che rendono decisamente patetiche la parole del Segretario Generale della NATO, Mark Rutte, allorché lo stesso il 6 Marzo ha cercato di riaffermare la forza dell’alleanza dicendo ai giornalisti a Bruxelles: “Lasciatemi essere chiaro, la relazione transatlantica e la partnership transatlantica rimangono il fondamento della nostra alleanza”: un’affermazione dove quel “nostra” non è dato capire a chi si riferisca.
Una ulteriore riprova di questa impietosa lettura la si ritrova, poi, nelle stesse parole del Presidente Trump allorché lo stesso ha espresso le sue incertezze sulla capacità dei membri della NATO di difendere gli Stati Uniti se un Paese fosse sotto attacco, indicando la Francia come esempio di alleato di cui “non è sicuro” nonostante che gli alleati della NATO, Francia compresa, siano comunque intervenuti in difesa degli Stati Uniti dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 al World Trade Center e al Pentagono, quando è stato invocato l’articolo 5 che ha portato alla più grande operazione militare della NATO in Afghanistan.
Un concetto, quello espresso da Trump, che si segnala per la sua pretestuositá in quanto non è dato capire come potrebbe mai la EU dovrebbe essere in grado di fornire la copertura cui ha fatto cenno quel Trump che dovrebbe essere ben edotto dal fatto che per quanto gli Europei possano spendere per la Difesa, mai e poi mai sarebbero in grado di sviluppare una mole di armamenti in grado di offrire quel tipo di supporto in tempi rapidi vista la situazione economica come pure la totale mancanza di una struttura politica adeguatamente coesa.
A fare da corollario a tutto quanto qui esaminato abbiamo il resoconto fatto dalla stampa russa ed americana del lungo colloquio telefonico di Trump e Putin del 18 Marzo 2025 che non poco ha avuto per oggetto la questione degli scambi economici tra i due Paesi, scambi che entrambi intendono intensificare per il reciproco vantaggio con buona pace dei Paesi EU: “Non abbiamo molti scambi commerciali con la Russia, ma loro vorrebbero aumentarli, e così anche noi. Hanno risorse preziose, tra cui importanti riserve di terre rare.La Russia ha un territorio immenso, il più grande del mondo. E su questa terra ci sono risorse che possono essere utili a noi, così come ad altri Paesi”.
Una frase emblematica cui merita affiancarne un’altra di non minore impatto che la dice lunga sul futuro che aspetta noi tutti, europei e non, come pure sull’attenzione globalmente riservata da Trump a ciò di cui si affannano inutilmente a disquisire le insipienti cancellerie europee: “Lui [il presidente cinese Xi Jinping] vuole buoni rapporti, e anche noi li vogliamo. E sono sicuro che ci riusciremo. Abbiamo un problema con lo squilibrio commerciale con la Cina, che è molto ampio”, ed ancora, “Penso che il presidente Xi voglia migliorare le relazioni, e penso che anche la Russia voglia migliorare le relazioni con gli Stati Uniti”.