L’Isis colpisce Baghdad per tornare alla ribalta. Dopo un periodo di relativa tranquillità, almeno nei centri urbani, un doppio attacco suicida rivendicato dallo Stato islamico ha colpito ieri una delle piazze centrali di Baghdad provocando la morte di 32 persone e il ferimento di oltre 100. Drammatica la sequenza degli eventi che hanno visto un primo miliziano farsi esplodere nel mezzo della folla del mercato e, dopo pochi minuti, un secondo “suicida” far detonare l’ordigno che aveva indosso all’arrivo dei primi soccorritori sul luogo della prima esplosione.
In considerazione della scelta dell’obiettivo, il mercato di Piazza dell’aviazione, Sahat al Tayaran, al centro di un quartiere di Baghdad a maggioranza sciita, i sospetti sono da subito ricaduti sullo Stato islamico, anche in considerazione del modus operandi degli attentatori diretto a provocare il maggior numero di vittime anche tra i soccorritori.
Isis rivendica l’attacco a Baghdad
La successiva rivendicazione da parte dell’Isis, diffusa dall’agenzia “al Amaq” nella tarda serata di ieri, ha ricalcato i canoni delle precedenti comunicazioni, con l’indicazione dei due “martiri” immolatisi per la causa della jihad e le conseguenti benedizioni divine:
“Con la concessione del successo da parte di Dio Onnipotente, uno dei cavalieri del martirio, il britannico Abu Yusuf al-Ansari (che Dio lo accetti) si mise in cammino verso un raduno di idolatri Rafiditi nella zona della piazza al-Tayran nel centro di Baghdad, e dopo essere entrato nel mezzo del loro raduno fece esplodere la sua cintura esplosiva su di loro, causando un certo numero di morti di martirio, il fratello Muhammad Arif al-Muhajir (che Dio lo accetti), che ha fatto esplodere la sua cintura esplosiva su un raduno dopo la prima esplosione da parte dei gruppi dei Rafiditi e delle loro forze di sicurezza, che si è risolto nella caduta di più di 30 morti oltre a più di 100 feriti, e sia lodato e ringraziato Dio”.
Ridimensionato ma in netta ripresa, lo Stato islamico si vuole consolidare in Medio Oriente
L’utilizzo di attentatori suicidi non fa che consolidare l’ipotesi che il Daesh, sebbene ridimensionato nel numero di affiliati e nella limitata superficie di territori controllati, rappresenti pur sempre un significativo rischio per tutta l’area siro-irakena.
Da stime provenienti dall’intelligence statunitense, l’Isis potrebbe contare, al momento di circa 4.000 combattenti in Iraq e oltre 6.000 in Siria, oltre che ad un numero di miliziani in ascesa esponenziale nel Continente africano, e sarebbe alla continua ricerca di un approvvigionamento di armi pesanti ed esplosivi. Questo spiegherebbe la limitatezza delle incursioni condotte a macchia di leopardo sia in Iraq che nel nord della Siria, mirate a basi militari minori dell’esercito siriano e iracheno, nel tentativo, spesso riuscito, di impossessarsi di armamenti, munizioni ed esplosivi.
Anche le capacità economiche dello Stato islamico sono state oggetto di un deciso ridimensionamento anche in forza della continua opera di monitoraggio svolta dalle varie intelligence interessate al fenomeno.
E’ pur vero che, sebbene l’ex Califfato abbia perduto numerose fonti di finanziamento, non è tuttavia venuta meno la sua capacità militare, anche questa ridotta, ma pur sempre in grado di agire contro obiettivi minori come le zone di confine.
A differenza del passato, infatti, i miliziani agiscono in piccole unità mobili, con azioni rapide sempre condotte in località distanti da centri urbani.
L’Europa, un teatro alternativo per la ribalta mediatica
Diversamente dal teatro mediorientale, lo Stato islamico, soprattutto in Europa, si è dimostrato ancora in grado di nuocere alla sicurezza collettiva con azioni sporadiche condotte da singoli in realtà metropolitane come Parigi, Vienna, Nizza e Dresda, senza tenere conto dell’alto numero di attentati sventati in Francia e Belgio che sarebbero dovuti essere eseguiti da foreign fighter di ritorno dalla Siria.
Un esempio eclatante è stato fornito dai servizi di sicurezza belgi che nel biennio 2019-2020, hanno sventato attacchi paragonabili a quello condotto da Mehdi Nemmouche al Museo ebraico di Bruxelles nel maggio 2014 in cui rimasero uccise quattro persone.
Secondo il quotidiano belga “L’echo”, i servizi segreti avrebbero «deliberatamente nascosto le informazioni (sugli attentati in preparazione NDR) per non allarmare la popolazione». Tutti gli arrestati, secondo il quotidiano, sono ancora detenuti e sarebbero novanta gli ex combattenti tornati in Belgio dalla Siria, tutti sottoposti a sorveglianza continua.
Fonti interne del dipartimento di sicurezza di Bruxelles, hanno riferito che l’attività di vigilanza continua sui foreign fighter di ritorno, sta mettendo sotto stress gli organici dei servizi di sicurezza federali. «Noi – ha detto una fonte giudiziaria al giornale – partiamo dal principio che, tra questi, uno su nove ha l’intenzione di commettere un attentato. È una stima conservatrice e tiene conto anche delle persone che danno sostegno logistico per questi attentati».
Le indicazioni di fonte belga vanno estese anche all’ininterrotta attività di reclutamento e indottrinamento condotta in Europa dallo Stato islamico.
Un’attività basata su elementi semplici diffusi sui social network o su siti con contenuti nascosti nel darkweb indicati ai prescelti dai reclutatori, come video con sequenze di immagini crude ma suggestive e musica solenne di accompagnamento, elementi spesso sufficienti per conquistare i seguaci.
L’Africa, un bacino di reclutamento illimitato
Altro elemento fondamentale per comprendere l’attuale situazione è l’aumento delle adesioni allo Stato islamico nel Sahel e nell’area libica, soprattutto nella zona del Fezzan. Le attività di contrabbando di esseri umani, così come di sostanze stupefacenti, favoriscono l’aggregazione di nuovi gruppi di miliziani che si riconoscono negli intenti del Daesh, anche grazie ai reduci del conflitto in Siria che continuano nella loro opera di radicalizzazione e di diffusione del pensiero jihadista. Il desiderio di ripristinare il Califfato non è infatti venuto meno con la sconfitta militare del Califfato in Siria.
Da quando Jund al-Khilafa, o i “Soldati del Califfato”, giurarono fedeltà allo Stato Islamico in Algeria nel settembre 2014 si verificò un incessante attività di proliferazione di cellule nel Continente africano.
Dal Consiglio giovanile Shura, un gruppo di 300 combattenti nella città di Derna, in Libia, composto in gran parte da libici che avevano combattuto nella Brigata Battar nella guerra civile siriana, alla Nigeria alla Somalia, dalla Tunisia all’Egitto e al Sahara, altre “cellule” dello Stato islamico, wilayat ufficiali (province del Califfato riconosciute dalla leadership) o gruppi affiliati hanno continuato a emergere nel Continente nero.
La persistenza di miliziani soprattutto nella penisola del Sinai, nella zona di al Arish, è sintomatica di una chiara volontà di mantenere alta la tensione e, soprattutto l’attenzione, dei media mondiali sullo Stato islamico, allo scopo di non far venire meno il sostegno economico da parte dei finanziatori occulti e le attività di riarmo dell’organizzazione terroristica.
Tutti questi elementi dovrebbero indurre a non abbassare la guardia nei confronti del fenomeno jihadista anche in considerazione dell’estrema versatilità dimostrata dal Daesh e dalla disponibilità ininterrotta di nuove leve, reclutate soprattutto nel Continente europeo tra i giovani immigrati.