Nuove manovre sulla Libia dopo la conferenza di Vienna che ha visto il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, tra il Segretario di Stato Usa, John Kerry e il presidente del governo di unità nazionale libico, Fayed al Serraj. In particolare, come anticipato la scorsa settimana, la soluzione per la comunità internazionale sembra essere quella di concedere alla Libia lo sblocco dell’embargo di armi. Una richiesta pressante, venuta dal premier libico che il governo italiano vede favorevolmente, soprattutto per non impegnarsi più di tanto militarmente in un’operazione di peacekeeping che risulta, nelle previsioni, assai rischiosa. Il contingente italiano sarà adoperato soprattutto per svolgere attività di addestramento dell’esercito libico, sulla scia dell’esperienza irachena con i peshmerga curdi.
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La fine dell’embargo sarebbe, però, soprattutto un modo per dare concretamente forza al governo di Al Serraj. Le armi sarebbero usate non solo contro il Daesh, ma porrebbero in una condizione di supremazia l’esercito legittimato, anche nei confronti delle milizie del generale Haftar che nelle ultime settimane ha ingaggiato diversi scontri con le truppe di Serraj facendo persino vittime e prigionieri.
Le richieste del governo libico sono esplicite e sono state formulate attraverso il vicepremier Mussa al Kony: “Abbiamo bisogno di ogni tipo di armamento – ha detto il numero 2 libico – ma la nostra priorità sono gli aerei. Vogliamo piloti, elicotteri e aerei da guerra”.
E la comunità internazionale non ha remore nel concedere questo tipo di armamenti, tanto più alla luce dell’allarme lanciato da Europol che ha parlato di 800mila migranti che sono pronti a raggiungere l’Europa. Un traffico di esseri umani che – secondo l’Ufficio europeo di polizia – genera un giro d’affari stimato tra i 5 e i 6 miliardi di dollari. Il rapporto segnala anche che i terroristi possano usare le risorse economiche dei trafficanti per raggiungere i propri obiettivi, con un rischio crescente di foreign fighters pronti a sbarcare sulle coste europee.
Il portavoce del Pentagono ha confermato la presenza di forze speciali americane sul suolo libico per “avere una migliore percezione dei player sul campo e della presenza dell’Islamic State sul territorio”. Anche senza conferme ufficiali diventa difficile escludere che anche l’Italia non abbia conservato una propria presenza sul suolo libico. Del resto la legge sull’impiego dell’intelligence consente di non consultare il Parlamento in situazioni di emergenza. E la Libia è già oltre qualsiasi livello di emergenza diventando ogni giorno di più una polveriera pronta ad esplodere sia sul fronte del terrorismo che su quello dei migranti. Senza contare gli enormi interessi economici che l’Italia ha il dovere di salvaguardare attraverso le postazioni dell’Eni e delle altre società che ancora operano in Libia.