Si sono registrati per la prima volta scontri a fuoco tra una brigata dell’autoproclamato esercito nazionale libico (Lna), fedele al generale Khalifa Haftar e una milizia della guardia petrolifera (Pfg) fedele al governo di Tripoli nella zona di Agedabia, importante terminal petrolifero della Cirenaica. È avvenuto lunedì sera. Un episodio che rende perfettamente l’idea di quanto, nonostante il difficilissimo accordo raggiunto per insediare al Sarraj alla guida di un governo di unità nazionale, la Libia versi ancora in una situazione di caos totale. In un Paese che continua a rappresentare una duplice minaccia per l’Italia e l’Europa sia dal punto di vista dei flussi migratori che per quanto concerne i pericoli connessi al terrorismo.
Il Frontex, l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea, ha lanciato l’ennesimo allarme per i flussi provenienti dalla Libia. “Quando si maneggiano i dati sui flussi migratori attesi la cautela è di rigore. Le variabili sono numerose. Secondo le nostre stime – ha detto il direttore esecutivo di Frontex Fabrice Leggeri – sono 300mila i migranti che dall’Africa occidentale potrebbero sbarcare in Italia, sulla rotta del Mediterraneo centrale”. Insomma, anche sul fronte dell’emergenza immigrati potrebbe aprirsi un’estate più calda del previsto.
Ancor più bollente è la variabile terroristica. Il Daesh in Libia continua ad imperversare, soprattutto nella città di Sirte dove le milizie di Sarraj non riescono ancora a debellare la minaccia. In un Paese in cui esiste solo un’unità nominale, sancita dall’accordo promosso dall’Onu, ma che continua ad essere diviso tra milizie, bande e tribù spesso in lotta l’una contro l’altra. Le operazioni contro il Daesh sono quindi ancor più complesse laddove gli eserciti nel paese sono molteplici e non tutti alle dipendenze di un unico comando. Ne è un esempio il viaggio del comandante delle forze armate della Libia fedeli al governo di Tobruk, Haftar, che ha discusso in questi giorni di una serie di questioni con il segretario del Consiglio di sicurezza russo Nikolai Patrushev e il ministro della Difesa Sergei Shoigu. Soprattutto si è parlato della fornitura di armi che ormai è divenuto il punto centrale per ogni milizia libica per acquisire una supremazia all’interno del Paese. Sia Sarraj che Haftar chiedono che l’embargo alla vendita di armi cessi al più presto. In questo caos resta palese l’evidenza che anche i Paesi occidentali sono divisi tra quanti parteggiano con Tobruk (e quindi con Haftar) e quanti parteggiano per Tripoli (e quindi con al Sarraj). Intanto, mentre le grandi potenze sono ferme o cercano accordi unilaterali con una delle due fazioni, le truppe dell’Isis continuano ad imperversare in più punti della Libia e la situazione di insicurezza per i cittadini è sempre più grave. Quegli stessi libici che fino a qualche anno fa, pur a ridotte condizioni di democraticità, riuscivano ad avere un reddito annuo di oltre 12mila dollari pro-capite e quindi in relative condizioni di agiatezza. Fra non molto dalla Libia potrebbero partire non solo i profughi dell’Africa sub-Saahriana, ma persino gli stessi libici.