«Ormai Sarraj è un dead man walking». Dalla Libia – fonti locali contattate da Ofcs – sono ormai convinte che il premier designato alla guida del governo di transizione, Fayed al Sarraj, possa essere a rischio. Il timore è quello di un attentato. Il primo ministro libico, espressione del governo di unità nazionale nato sotto l’egida dell’Onu, infatti, non è espressione del popolo e di tutte le fazioni esistenti nel paese nordafricano. Sin dal giorno del suo insediamento, riesce a spostarsi solo se circondato da un imponente servizio di sicurezza che, fino ad oggi, gli ha consentito di muoversi. «Anche se Sarraj è stato dotato di una scorta imponente – continuano le nostre fonti sul posto – sarà difficile proteggerlo a lungo perché le condizioni di sicurezza in Libia continuano a peggiorare».
Giovedì 12 gennaio, ad aggravare ulteriormente la situazione, ci hanno pensato le milizie dell’ex presidente Khalifah Ghweil che hanno occupato tre ministeri a Tripoli tentando un golpe. A spaventare la comunità internazionale, non sono soltanto le idee dell’ex premier libico molto vicine al radicalismo islamico, ma soprattutto la sua capacità nel saper stringere un accordo militare con il generale Haftar, nonostante quest’ultimo si sia sempre speso contro gli estremisti religiosi. «L’accordo tra Ghweil e Haftar – fanno notare gli analisti che trattano il dossier libico – è semplicemente una mossa tattica per sbarazzarsi di Sarraj. Hanno un nemico in comune e cercano in tutti i modi di eliminarlo, ma la loro alleanza non resterà salda nel lungo periodo».
Ormai, oltre quello che è scritto nei trattati internazionali e dell’Onu, in Libia esistono tre governi di fatto: quello di Sarraj, nato nel 2015 per volere delle Nazioni Unite, il governo “laico” di Haftar a Tobruk, tenuto in vita grazie all’appoggio di Egitto, Emirati Arabi e la “simpatia” della Russia, poi c’è il governo di Ghweil che è sostenuto e finanziato da Turchia e Qatar. Ognuno di questi esecutivi controlla proprie milizie. Un’alleanza anche nel breve periodo tra due di questi eserciti riuscirebbe a spazzare via il terzo. Ed è un’ipotesi che ogni giorno di più si va concretizzando con l’alleanza tra Ghweil e Haftar, che si sta servendo dell’ex premier per riuscire ad ampliare la sua influenza fino a Tripoli. Mentre ora l’ex generale di Gheddafi ha una sua forza specifica soltanto nell’area della Cirenaica.
In realtà l’azione di giovedì, con il tentato golpe e l’occupazione dei tre ministeri a Tripoli, è stata considerata soltanto come un’azione dimostrativa da parte di Ghweil. Nella sostanza le milizie dell’ex presidente avevano già il controllo di questi edifici che sono serviti soltanto per riaffermare il valore simbolico di un raid che è stato semplicissimo da porre in atto, perché quei palazzi risultavano ormai abbandonati. Eppure, anche se si trattasse di un’azione dimostrativa, è l’ennesima evidenza del caos che imperversa nel Paese.
Intanto l’Italia resta l’unico Stato occidentale ad aver riaperto una propria ambasciata a Tripoli. L’ambasciatore Perrone in questi giorni è al lavoro per mettere in moto la macchina organizzativa e sta tenendo continui incontri con emissari del governo di Sarraj. All’Italia, più di tutto, sta a cuore stringere accordi con l’esecutivo designato per cercare di ridurre al minimo il flusso migratorio sulle nostre coste. Anche in questi giorni, nonostante le temperature gelide, alcuni barconi continuano a trasportare i disperati sulle sponde italiane. Resta da capire se, da parte dell’Italia, quella di riaprire l’ambasciata sia stata una mossa precoce e, soprattutto, manifestare un così enorme appoggio a Sarraj nel momento di maggiore difficoltà per il premier designato. Una fiducia, quella riposta nel premier libico, forse eccessiva rispetto alla congiuntura di eventi che si sta palesando in queste ultime ore.
L’atteggiamento italiano sta infastidendo sempre di più il generale Haftar che prima ha chiesto al nostro Paese di rinunciare all’ospedale da campo allestito a Misurata nel quadro dell’operazione “Ippocrate”, poi ha denunciato lo sconfinamento in acque libiche della nave italiana San Giorgio. Non da meno sta creando fastidi la presenza di militari italiani a Tripoli, inviati per proteggere l’ambasciata d’Italia. L’appoggio quasi incondizionato che il governo italiano sta offrendo a Sarraj potrebbe essere pagato a caro prezzo il giorno in cui l’attuale premier venisse destituito, ucciso, esautorato o costretto alla fuga. Tanto più se dopo Sarraj ci fosse proprio Haftar a prendere le redini di questo Paese sempre più diviso e pronto ad esplodere come una bomba ad orologeria.