Alla fine anche il premier designato libico Fayez al Sarraj è riuscito ad essere a Roma per l’incontro del “gruppo di contatto”, che si è svolto il 20 marzo nella Capitale per trovare soluzioni sull’emergenza migranti. Una presenza non scontata quella di Sarraj, in dubbio fino all’ultimo minuto perché l’incolumità del presidente tripolino è stata nuovamente messa a repentaglio dalle fazioni a lui avverse e che cercano in tutti i modi di minarne la legittimità. Una legittimità sempre più flebile al punto che fonti libiche contattate da Ofcs hanno riferito che più di una volta nel corso di questi ultimi mesi Sarraj è stato costretto a rifugiarsi su una chiatta a largo di Tripoli per ragioni di sicurezza. Ma intanto, nonostante il premier designato abbia evidenti difficoltà a girare liberamente per Tripoli e controllare l’esteso territorio libico, Sarraj resta l’unico interlocutore che la comunità internazionale riconosce per stabilizzare il Paese nord-africano.
Il premier tripolino è riuscito a giungere in Italia nonostante appena due giorni fa alcuni gruppi armati dell’opposizione hanno provato ad assaltare la base navale di Abu Seta, il quartier generale di Tripoli da cui Sarraj gestisce il Consiglio Presidenziale. Solo dopo alcune ore la sede è tornata sotto il controllo delle forze governative dopo lunghi e complessi colloqui di intermediazione. L’assalto alla base presidenziale è stato solo l’inevitabile epilogo di lunghe giornate di scontri tra i soldati di Sarraj e le milizie filo-islamiste che fanno capo a Khalifa Ghwell, ex leader di un governo non riconosciuto che per una dozzina di mesi tra il 2015 e il 2016 ha amministrato la Tripolitania in contrapposizione alle forze cirenaiche. Nei mesi scorsi Ghwell aveva tentato un colpo di Stato assaltando tre sedi ministeriali di Tripoli, una mossa che aveva soltanto uno scopo dimostrativo perché i palazzi erano vuoti e senza personale di servizio, ma che voleva dare scenograficamente prova alla comunità internazionale delle difficoltà di Sarraj nel riuscire a mantenere le basilari condizioni di sicurezza nella capitale libica.
Lo scorso 20 febbraio le milizie di Ghwell avevano già sparato dei colpi di mitragliatrice contro un convoglio di auto su cui viaggiava il premier, causando però soltanto il ferimento di due guardie del corpo. La situazione a Tripoli ora è di calma relativa, ma i recenti accadimenti dimostrano come lo scenario nel Paese sia in continua evoluzione.
Sarraj può contare su appoggio delle guardie governative sia di alcuni partiti politici
Almeno nella Capitale Sarraj può contare, oltre che sull’appoggio delle guardie governative, anche su alcuni partiti politici e i propri relativi gruppi armati che sostengono l’esecutivo provvisorio. E non c’è da stupirsi che in Libia, Paese sempre più frammentato, ogni gruppo, tribù o partito politico abbia delle milizie di riferimento. Di ben altro tenore è invece la situazione nelle altre città del Paese nord-africano: la Cirenaica, ad esempio, continua saldamente ad essere nelle mani del generale Haftar. Un territorio strategico perché comprende la cosiddetta Mezzaluna petrolifera, pozzi di petrolio che Sarraj ha cercato negli ultimi tempi di riportare vanamente sotto il controllo del Noc, l’ente governativo che gestisce il mercato dell’oro nero. Ma le truppe di Haftar, grazie ad una potentissima operazione militare, sono riusciti a rimpossessarsi dei campi di Ras Lanuf e Sidra dove il petrolio viene estratto. Una situazione allarmante che ha costretto nei giorni scorsi gli ambasciatori di Italia, Francia, Gran Bretagna e Usa ad esprimere ufficialmente preoccupazione per l’escalation di violenze chiedendo la fine immediata delle ostilità. Dall’altro fronte sembra invece esserci la Russia, che se ufficialmente riconosce l’accordo siglato dall’Onu sul governo di unità nazionale a guida Sarraj, continua a sostenere Haftar. Al punto che la Cnn, citando come fonte alcuni dirigenti statunitensi, ha rivelato che aerei da ricognizione americani avrebbero individuato un aereo da trasporto e un grande drone russo in una base aerea nell’Egitto occidentale, confermando che Mosca stia interferendo anche militarmente sulla situazione della Libia. Indiscrezioni che hanno costretto il Cremlino a smentire la sua presenza in Egitto con proprie le forze speciali. Sullo sfondo c’è la minaccia di Haftar di avanzare verso Tripoli per conquistare il potere, un’eventualità che però troverebbe sin da subito l’opposizione della comunità internazionale che sarebbe costretta ad intervenire militarmente per riportare la pace nel Paese.
Ma intanto, mentre la Libia è invischiata in faide che sembrano non avere fine, Sarraj a Roma ha provato a rassicurare sia il premier, Paolo Gentiloni, che il ministro dell’Interno, Marco Minniti, sulla validità del proprio intervento per risolvere l’emergenza migranti che più di ogni altra cosa preoccupa il governo italiano. Con l’estate ormai alle porte e l’Islamic State che perde sempre più terreno nei territori di guerra c’è il rischio che sui barconi, insieme ai disperati, possano arrivare anche i fuggitivi del Daesh per compiere attentati in Europa. Anche per questo si sta cercando di accelerare i tempi per individuare delle soluzioni immediate ed impedire un’ondata di sbarchi che – secondo le previsioni – dovrebbe essere di gran lunga superiore a quella dello scorso anno. Resta da capire se Sarraj potrà davvero gestire i mezzi che la comunità internazionale è pronta a mettere a disposizione della Libia per raggiungere questo obiettivo. Al momento ogni accordo, compreso il memorandum d’intesa sottoscritto tra Italia e Libia ad inizio febbraio, sembra scritto sulla sabbia. Il 30 marzo ricorrerà esattamente un anno da quando, via mare, Sarraj giunse a Tripoli per insediarsi alla guida del Consiglio Presidenziale. Un anno dopo la situazione sembra ancora in stallo, in alto mare, proprio come il premier designato che dalle acque del Mediterraneo prova a governare una crisi che sembra non conoscere fine.