Come un segnale che lascia la criminalità organizzata ai negozianti che non pagano il pizzo, così l’autobomba che è scoppiata a pochi metri dall’ambasciata italiana a Tripoli intende dare un segnale di minaccia al governo italiano. L’attentato di sabato scorso agita le acque nell’esecutivo Gentiloni. Il premier ha intenzione di ricalibrare l’impegno del nostro Paese in Libia e, per attuare nuove strategie, martedì mattina ha tenuto una riunione a Palazzo Chigi insieme ai ministri Alfano, Minniti e Pinotti. Con loro erano presenti il Segretario generale della Farnesina, Elisabetta Belloni, il capo di Stato maggiore della Difesa, Claudio Graziano, il direttore del Dis, Alessandro Pansa e il capo della Polizia, Franco Gabrielli. La polveriera libica impone al governo italiano di attuare nuove strategie: l’estate è sempre più vicina e l’esecutivo teme che, perdurando l’instabilità nel Paese dell’ex rais Gheddafi, l’Italia possa essere travolta da un’ondata di sbarchi senza precedenti.
La decisione di riaprire l’ambasciata italiana lo scorso 9 gennaio era finalizzata proprio a garantire un accordo con il governo-fantasma di Sarraj per impedire gli sbarchi. Ma ormai il premier designato non ha più il controllo neppure nella capitale. La tipologia di attentato avvenuta a pochi passi dall’ambasciata italiana sembra tipicamente di matrice jihadista. In attesa di individuare i reali responsabili, non è possibile escludere che a farsi saltare in aria in auto possano essere stati uomini afferenti all’ex premier Ghweil.
Ghweil è a capo di una milizia formata da estremisti islamici e fratelli musulmani, appena una settimana fa aveva voluto dare un segnale di forza, soprattutto per delegittimare ulteriormente Sarraj, occupando tre ministeri nella città tripolina. Al momento è impossibile stabilire se anche il generale Haftar, a capo di un’ulteriore milizia, fosse a conoscenza della pianificazione di un attentato nei pressi dell’ambasciata italiana. Di sicuro, in Libia, tutte le forze che avversano il premier designato Sarraj hanno interesse nel creare confusione per dimostrare alla comunità internazionale che ormai il premier non ha alcun controllo del Paese. Evidenza che ogni giorno diventa sempre più acclarata. C’è una totale asimmetria tra il potere che è stato dato a Sarraj attraverso la risoluzione dell’Onu e il reale potere sul campo che riesce ad imporre il premier designato.
Fino ad oggi l’Italia, proprio facendo fede alla decisione dell’Onu, ha tentato di sostenere Sarraj con ogni mezzo. Ma, proprio questa esposizione così eloquente da parte del nostro Paese nei confronti del premier designato, ha attirato critiche e fastidi dalle altre forze in campo sul suolo libico. Il generale Haftar ha cercato di dare più volte segnali all’Italia chiedendo di rimuovere l’ospedale da campo di Misurata costruito nell’alveo della missione Ippocrate. Poi l’ex generale di Gheddafi ha tuonato contro il nostro Paese di evitare sconfinamenti di navi battenti bandiera tricolore nelle acque libiche. Persino i pescherecci italiani che generalmente stazionano in acque internazionali a largo della Libia ormai vengono continuamente attaccati dai miliziani. È quanto accaduto ai pescherecci italiani “Principessa Prima”, “Antartide” e “Grecale”, impegnati nell’attività di pesca a 18/20 miglia dalle coste delle città libiche di Bengasi e Derna (città sotto il controllo di Haftar). I motopesca sono stati l’obiettivo di un’aggressione armata da parte di alcuni militari a bordo di una motovedetta libica e per ore sarebbero stati colpiti da raffiche di mitra da parte dei militari che avrebbero tentato l’abbordaggio.
Per cercare di invitare Haftar ad un dialogo, il ministro degli Esteri Alfano ribadisce ogni giorno che se il premier designato resterà Sarraj, bisognerà trovare un ruolo di primo piano anche per Haftar. Ma un accordo tra le varie milizie libiche sembra sempre più lontano a prescindere da qualsivoglia risoluzione Onu. In Libia è in corso una guerra civile. Una guerra che si combatte anche con il controllo dei pozzi petroliferi e delle centrali elettriche. Gran parte del Paese negli ultimi giorni è senza corrente, la zona più colpita è quella del Fezzan. Una squadra di tecnici italiani è giunta nei giorni scorsi a Tripoli per aiutare le autorità libiche a porre riparo alla crisi dei continui blackout elettrici che stanno attanagliando gran parte del Paese. Una situazione di criticità che, se persistesse, creerebbe ulteriori condizioni per altri sbarchi di residenti libici sulle nostre coste. E, stavolta, l’attenzione italiana è ancora più alta perché, con il Daesh che perde sempre più terreno sul campo a causa dei bombardamenti occidentali, diventa un’ipotesi sempre più concreta che sui barconi, insieme ai disperati, possano far ritorno in Europa anche i foreign fighters di ritorno. Un problema stringente per l’Italia, ma per l’intero Continente europeo. Eppure si continua a tergiversare senza riuscire a trovare soluzioni plausibili per un Paese che solo pochi anni fa, pur se sotto il controllo di un regime liberticida, prosperava nel benessere a differenza di tanti altri Stati africani.